Jay Boy Adams, texano doc, è una piccola leggenda. Attivo dagli anni settanta, ha iniziato come tecnico delle chitarre di Billy Gibbons degli ZZ Top, mettendosi in luce nello stesso tempo anche come songwriter. Notato da Bill Ham (lo storico manager di Gibbons e soci) ha dapprima iniziato ad esibirsi come opening act del trio di barbudos texani, fino ad essere messo sotto contratto nientemeno che dalla Atlantic, per la quale ha inciso due dischi nella seconda metà dei seventies (
Jay Boy Adams nel 1978 e
Fork In The Road, con gente come Jackson Browne in session, nel 1979), di successo pressoché nullo.
Adams continua ad esibirsi, aprendo concerti di Joe Ely, Jimmie Dale Gilmore, Joe Cocker, Butch Hancock, ed altri, fino al 1982, anno in cui decide improvvisamente di ritirarsi dalle scene. Fonda e dirige con successo una compagnia di trasporti su strada (la Roadhouse Transportation), ed annovera tra i suoi clienti alcuni tra i più bei nomi della musica texana e non. Tra di loro vi è anche Lee Roy Parnell, che gli propone di rientrare nel mondo della musica, che Jay Boy non ha mai smesso di amare. Il resto è storia recente: verso la fine del vecchio secolo Adams torna ad esibirsi, prima con sporadiche comparsate, poi con vere e proprie tournee di supporto ad altri artisti.
Ed ora, finalmente, Jay Boy torna anche in sala d'incisione e, contro ogni previsione, ci consegna un disco tonico, dal titolo
The Shoe Box, un vero e proprio bignami di musica texana, pieno di canzoni sopraffine, suonato con il cuore e prodotto con grande professionalità da Monry Byrom. Un disco creativo, pieno di idee e di buone canzoni, che Jay Boy ha scritto in tutti questi anni. Si era ritirato, ma non aveva mai smesso di scrivere. Dodici brani dove Adams passa dal rock al country, al folk, alla ballata, al soul, con ospiti di vaglia come Marty Stuart (al mandolino in un paio di brani), l'amico Parnell, oltre a duetti vocali con Ray Benson degli Asleep At The Wheel e Jack Ingram. Si parte subito forte con la title track, un folk-rock acustico, ma suonato con forza, di presa immediata, godibile e suonato benissimo, un po' nello stile di Lowell George (l'inizio ricorda vagamente Willin', e scusate se è poco).
Un bell'inizio.
Life In A Small Town è proposta come se fosse un vecchio traditional, e dimostra che si può emozionare anche con pochi strumenti. Il crescendo, così come l'entrata della chitarra elettrica, sono da applausi.
Color You Gone è più spostata verso il rock'n'roll, ma resta comunque irresistibile: ricorda da vicino il Jackson Browne più vivace; il famoso traditional
John The Revelator (con Benson) è rilasciato in una veste gospel-rock, che non sfigura affatto di fronte alle versioni più "illustri" dello stesso brano. Che dire di
Mississippi To Abilene, deliziosa ballata acustica profumata di Messico: se il vostro cuore non vibra, allora cambiate pure disco, e andatevi ad ascoltare Christina Aguilera o Hilary Duff...
Showman 's Life è una riuscita cover, tra rock e soul, di Jesse Winchester (è incredibile il feeling che Adams riesce ad imprimere ad ogni brano, ma dov'è stato tutto questo tempo?).
Moro Bay cambia parzialmente le carte in tavola, e ci offre un honkytonk elettro-acustico di gusto (non c'è nulla meno di ottimo in questo disco).
La pianistica
Bottle And The Bible ricorda addirittura Billy Joel (che comunque ha scritto diverse belle canzoni, non dimentichiamolo), ma poi l'arrangiamento prende un indirizzo gospel, quasi sudista; la roccata
Life And Fate è invece un classico brano made in Texas. La tenue
For Home, episodio da vero cantautore,
Waitin' On Five 0'Clock, tra country e rock'n'roll, e la solida
Water For My Horse, chiudono degnamente un album che mi ha lasciato a bocca aperta.
Jay Boy Adams è tornato, e dalla porta principale. È già uno dei nostri.