Fare dell'ironia su di un onesto lavoratore del rock'n'roll che alla soglia degli "anta" non è riuscito a racimolare altro che un esaurimento nervoso, parecchie porte sbattute in faccia e una degradante sequela di lavoretti precari buoni giusto per tirare a campare sarebbe forse un po' troppo scortese. Capisco poi che, dopo i disturbi di cui sopra e i quattro anni impiegati per mettere insieme qualche nuova idea, l'opportunità di aggiornare la propria discografia sia sembrata a
Tommy Womack particolarmente stimolante e significativa, tanto da intitolare questo benedetto nuovo album "
Ecco, l'ho detto!", come se si trattasse del liberatorio sfogo interiore e musicale atteso da una vita.
Eppure, se si ripensa alla gradevolezza dei primi album del ragazzo, tra i quali restano inarrivabili
Positively Na Na ('97) e
Stubborn ('00), al loro trascinante miscuglio di canzone d'autore, sfuriate alla Replacements e sbrindellate cacofonie roots nello stile dell'amico Todd Snider, il confronto con
There I Said It! non può che suscitare, a essere indulgenti, un sorriso storto e appunto beffardo. D'accordo, è più che legittimo, da parte di Tommy, volerci raccontare quel che ha passato (peraltro nel tono caustico e tagliente che gli appartiene), parlare dell'adorato figliolo e della moglie che lo ha sempre sostenuto, raccontare di come ha scoperto Gesù Cristo e i suoi insegnamenti ("
Una mattina di marzo, nel 2003, Dio mi ha sbattuto nei denti con una padellata di Luminosa Verità": almeno non ha perso il senso dell'umorismo...).
Altrettanto legittimo, però, che noi ascoltatori ci attendessimo tutt'altro rispetto a un lavoro così "molliccio", sgonfio, approssimativo, accartocciato su intuizioni di seconda mano. La sensazione di un'occasione sprecata, inoltre, è resa ancor più evidente dalla presenza - in un'insipida zuppa di country-rock poco convinto e canzoncine rock passate in candeggina - di due pezzi spettacolari come
If That's All There Is To See e
Alpha Male & The Canine Mystery Blood: il primo è una superlativa ballatona elettrica che sa di primavera e corse in macchina col finestrino abbassato, talmente bella e trascinante da far venir voglia i lanciarsi con l'autoradio al massimo persino in una qualsiasi highway nostrana; il secondo mugugna un talkin' devastante, alla maniera del Lou Reed di Magic And Loss (con la chitarra di Will Kimbrough che incalza proprio sulla scia di quella di Mike Rathke), dove l'autore passa senza soluzione di continuità dall'evocazione dei suoi 25 anni, nei quali poteva decidere di seguire una band anche solo in virtù di una ragione sociale interessante, alle attuali lezioni di batteria dell'erede, che "in futuro potrebbe suonare in qualche jam-band".
Un dato positivo, alfine:
Tommy Womack non ha perso la lingua e la capacità di scrivere testi pungenti e simpaticissimi, eventualmente meritori di una pubblicazione a parte. Ora mi aspetto solo che torni a scrivere anche le grandi canzoni di cui lo so capace.