In Arizona e in buona parte del South West, così come nel confinante Messico, sono delle piccole star, con vendite considerevoli a livello indipendente, segnalazioni su Billboard ed una seria attività dal vivo, in pratica uno dei live act più seguiti della regione. Al di fuori dei confini locali però
Roger Clyne & the Peacemakers restano ancora un fenomeno tutto da scoprire, le cui potenzialità radiofoniche devono ancora trovare uno sbocco.
No More Beautiful World è il quinto lavoro di studio a cui si aggiungono un paio di testimonianze live, per una discografia ormai cospicua, avviata all'indomani dello scioglimento dei Refreshments, rock'n'roll band di cui il leader Roger Clyne e il batterista P.H. Naffah hanno fatto parte per un breve periodo.
Sulla falsariga di quest'ultima esperienza, quella di un roots rock melodico e chitarristico che fece la fortuna anche dei concittadini Gin Blossoms, i Peacemakers hanno proseguito fino alla piena maturità del precedente
Americano!, forse il loro disco più riuscito in termini artistici.
No More Beautiful World suona immediatamente come il tentativo di forzare il precedente percorso, capitalizzando forse i successi ottenuti in Arizona, al fine di conquistare un pubblico più ampio. Le chitarre dello stesso Clyne in coppia con Steve Larson non hanno cambiato accenti e ispirazioni, ma il sound complessivo del disco si è reso più pop, malizioso e certamente sbilanciato verso il mainstream.
Non necessariamente un peccato mortale, anzi, ma meritevole di attenzioni solamente se supportato da canzoni degne di nota. In realtà, lanciando raramente segnali di vitalità, come nel brillante guitar rock di
Hello New Day e
Andale (ricordano i Cross Canadian Ragweed), provando ancora a cercare la pop song perfetta (una contagiosa
Maybe We Should Fall In Love) e l'immancabile tocco rootsy (la solare
Contraband),
Roger Clyne & the Peacemakers hanno preferito giocare a carte scoperte con il produttore Cliff Norrell (musicista aggiunto al piano, organo e tromba), imbastendo una raccolta di ammiccanti canzoncine, un po' anomime nel loro insieme.
Le prime avvisaglie arrivano con i ritmi in levare di
Bottom Of The Bay e la leggera brezza mexican di
Wake Up Call, calando pericolosamente in qualità nella seconda parte: gli influssi vagamente reggea e calypso sui quali vanno ad infrangersi
World Ain't Gone Crazy, Winter In Your Heart e
Hourglass, le interlocutorie
Lemons e
Noisy Head mostrando un prodotto non in linea con le buone premesse del passato e lo stesso talento di Clyne, un tempo rocker dal piglio assai più convincente.