Mancava ancora all'appello di questo 2007 un disco squisitamente country-honky tonk, come mi era capitato invece di incontrare la scorsa stagione (nel caso foste interessati buttate un occhio sui
West Valley Highway).
Jon Byrd potrebbe coprire la lacuna con il suo esordio solista,
Byrd's Auto Parts, un lavoro che raccoglie quattordici canzoni, di cui solamente quattro brani firmati dallo stesso Byrd, il quale però si è affidato ad un repertorio niente affatto scontato.
Ogni scelta infatti viene comunque contestualizzata secondo lo stile del nostro, un country rock gentile, a volte con venuture soul, a ricordarci le sue origini sudiste. Cresciuto artisticamente sulla scena di Atlanta e nei circuiti roots dell'Alabama, Byrd si è trasferito a Nashville nel 2001 dopo essersi costruito una certa reputazione tra il cosiddetto movimento Redneck Underground. È stato sino ad allora il chitarrista per Slim Chance and the Convicts e Greta Lee, fino a quando non ha deciso di prendere la sua strada e debuttare, non più novellino, con l'aiuto di musicisti dell'altra Nashville tra cui Milan Miller (chitarre e piano), Eddie Lange e Pat Severs (pedal steel), Adam e Shannon Wright (cori).
Una mossa giustificata: si intuisce la preparazione del musicista, il suo sincero amore per il genere, oltre al fatto che persino dal punto di vista vocale Byrd non è per nulla in imbarazzo, come a volte può capitare nel caso di chitaristi prestati al ruolo di band leader. La sua vocalità morbida e decisamente country ci introduce al dolce sobbalzare di
Jackknife, suono roots con il dobro di Milan Miller (anche produttore) in evidenza, forse il migliore brano originale.
A ruota segue un'altra pregevole composizione di
Byrd, Reputation, country rock brillante con steel e piano in evidenza. Le migliori cartucce, almeno per quanto riguarda il repertorio personale, ha deciso di spararle subito: più avanti incontreremo Stay, ballata appisolata, e
One Final Round, honky tonk strappacuori, ma nulla che valga le precedenti. Sono tuttavia le cover a rendere davvero piacevole
Byrd's Auto Parts, perché non si fermano ad autori e generi strettamente legati con la materia trattata da Jon Byrd.
Fra le scelte più prevedibili, e comunque di ottima resa, si segnalano il puro honky tonk texano di
Be Real (Doug Sahm) e la road song
Freightliner Fever, oltre allo stantuffo country di
Blistered, memore di Johnny Cash e del suo inconfondibile boom chicka boom. Assai più curiosa però l'inclusione di
Don't Let Me Down di Lennon/McCartney, che grazie alla pedal steel si trasforma in una gustosa ballata country soul, e della misconosciuta
(When You're on) The Losing end, classico minore di Neil Young (stava su Everybody Knows…). Un buon disco di genere, come si diceva un tempo, senza grandi sorprese, ma costruito con indubbia competenza.