FRANKIE MILLER (Long Way Home)
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  Recensione del  15/08/2007
    

Uno dei migliori dischi di ballate che mi sia capitato di ascoltare recentemente. Sembra di essere catapultati in un'altra era, quando le ballate di Bob Seger riscaldavano gli hungry hearts e i Faces col loro sporco british R&B dalle inflessioni cockney suonavano più convincenti e autentici dei Rolling Stones.
Long Way Home è un signor disco, trascinante e commovente, pieno di passione e soul, con ballate da favola che spezzano il cuore anche al più orco degli ascoltatori e ruvidi rock cantati con l'ugola all'whiskey di chi non ha nulla da invidiare a Rod Stewart e Paul Rodgers. Messo insieme col materiale che Frankie Miller aveva registrato nei primi anni novanta con Will Jennings, Joe Walsh, Nicky Hopkins, Ian Wallace e Chrissie Stewart a cui sono state aggiunte un paio di composizioni più recenti, la strepitosa You're The Star del 1995, una ballata da mille e una notte e Lies Tell The Best Truth Of All del 1997, Long Way Home suona come uno dei dischi più riusciti di Frankie Miller nonostante sia un lavoro di cucito.
Un disco dove c'è una netta prevalenza di ballate tra soul, rock e un po' di country e dove il suono vintage degli strumenti evita quella retorica da sopravvissuti che si respira in alcuni lavori dei grandi del passato. L'inizio parla il linguaggio dei Faces, Guilty Of The Crime potrebbe essere uscito dall'imperdibile box Five Guys Waik Into a Bar, opera imprescindibile a tutti i livelli, rock e soul di taglio british con la sporca chitarra di Walsh e il magnifico piano di Nicky Hopkins a ricordarci quale fosse il tiro e l'intensità del rock di una volta.
Beninteso, non è perché si è nati in quella generazione che le cose sembrano migliori, non è una questione di ricordi o nostalgia della gioventù, è un fatto solo di rock n'roll perché questo non ha età e necessita solo di una chitarra, una batteria, una voce e questa volta anche un piano che non siano troppo distanti dal blues. Lo ha detto anche Bob Dylan "più questi ragazzi giovani si aitontanano dal blues, più diminuisce la loro capacità di comporre canzoni memorabili". Già il secondo brano, che ha il titolo di un vecchio album degli Allman del 1975 Win, Lose or Draw (ma non centra nulla) ci introduce alla specialità di Miller: le ballate spezza cuori cantate con la voce rotta dall'emozione e a cui non è possibile rimanere indifferenti perché in quell'ugola roca e arsa c'è dentro tutta la verità possibile di una storia.
Frankie Miller è magnifico, a volte è ancora più commovente di Bob Seger (sicuramente di quello di Face The Promise), qui fa tutto con Will Jennings ma basta e avanza perché subito dopo arriva You Always Saw The Blue Skies e c'è davvero da piangere tanto è il pathos e la bruciante poesia. Un piano, una chitarra acustica, un filo di arrangiamento e la voce di Miller che gioca con la vostra sensibilità, scava in profondità e porta a galla dei versi e delle parole (You Know my hope never dies) che paiono presagire quello che gli capiterà poi visto che sono scritte nel 1990. Della stessa risma è You're The Star ma qui siamo nell'olimpo della ballata, inizio lento e ispirato e poi una graduale ascensione in quella che è l'apoteosi melodica e lirica del pezzo con le tastiere di Billy Livsey che riempiono il fondo e la chitarra di Graham Lyle e la batteria di Chad Cromwell in prima linea mentre Frankie canta da far paura. Un trionfo di romanticismo.
Il clima da heartbreaker è sapientemente spezzato da un paio di rock n'roll, Over The Line è molto southern rock e He'll have To Go, un tradizionale che faceva una bella figura su Chicken Skin Music di Ry Cooder, qui è resa rovente da una versione che sta tra gli Stones e i Faces con Miller che fa l'Otis Redding e Joe Walsh e Nicky Hopkins che si superano nel ricreare l'incandescente atmosfera di un honky tonk bar pieno di fumo, alcol e "donnacce". The Rose è una ballata di Amanda McBroom per sola voce e chitarra e Baton Rouge è un ritmo sinuoso e malizioso alla Willy DeVille che si addentra in uno dei paesaggi musicali preferiti da Miller ovvero il sud, la Louisiana, il border messicano. Altre ballate sono Lovin's Too Easy, questa volta è il country a fare capolino con la slide di Walsh, l'acustica di Miller e la pedal steel di Nick Zala, Lies Tell The Best Truth Of All ha un testo di denuncia contro le incongruenze del mondo moderno e It's A Long Way Home chiude il disco sgocciolando una malinconia che toglie il respiro.
Diverse ballate da favola, tre ottimi rock n' R&B, una copertina fascinosamente londinese e una delle voci blues più belle che la musica inglese abbia mai avuto, It's A Long Way Home è un pezzo del grande cuore di Frankie Miller.