ROBBIE FULKS (Revenge)
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  Recensione del  15/08/2007
    

Robbie Fulks ha un gran talento, non ci sono dubbi. Il problema è sempre stato capire fino a che punto lo abbia sprecato o se ne sia semplicemente fatto beffe, causa uno spirito un po' anarchico e dissacrante. Il nuovo doppio disco dal vivo Revenge!- una parte rigorosamente elettrica, una seconda acustica - molto probabilmente non risolverà il dilemma, rafforzando anzi l'impressione di un songwriter che non ama le regole e disposto, pur di inseguire il suo estro, anche a giocarsi qualche buona occasione.
Basterebbero i tre minuti e mezzo deliranti di We're on the Road, posti all'inizio del primo cd, per chiarire ogni dubbio: una canzoncina leggera, un boogie stralunato accompagna le gioie della band di Fulks in tour. Tutti cantano in coro quando improvvisamente vengono interrotti dalla telefonata del boss della Yep Roc. Quest'ultimo reclama a gran voce un nuovo disco, che manca da quasi due anni (i tempi di Georgia Hard) e parte una gustosa chiacchierata (tutta fittizia, sia chiaro, anche perché la Yep Roc è una realtà indipendente, la più lontana possibile dal cattivo orco discografico) tra Fulks e il manager dell'etichetta sul budget a disposizione per incidere l'album.
Chiusa la chiamata Fulks ha finalmente l'intuizione in grado di cavarlo fuori dai guai: sono on the road con la mia band, perché non registrare un disco dal vivo? E così si parte con il concerto vero e proprio: il country rock speziato di You Shouldn't Have introduce lo show elettrico, quello che si rivelerà in definitiva il più piccante e coinvolgente. La band, che comprende in pianta stabile l'ottimo Grant Tye alle chitarre, Mike Fredrickson al basso e Gerald Dowd alla batteria, più gli ospiti Casey Driessen al violino e Joe Terry al piano, scalcia che è una meraviglia.
Il suono è quello che ha reso Fulks una piccola sensazione dell'altra Nashville una decina di anni fa, prefigurando un astro dell'alternative country: honky tonk rubusto (Fixin' to Fall, Busy Not Crying), sbuffate bluegrass (Cigarette State), western swing (Goodbye), ballate dal piglio country classico degne di un Merle Haggard (The Buck Starts Here) e roots rock che sa districarsi tra melodia ed elettricità (Mad at a Girl), fino all'apoteosi conclusiva di Let's Kill Saturday Night, la sua personale signature song, un rock'n'roll killer che ti stende con una dose da cavallo di chitarre ed energia.
Spenti gli amplificatori, la seconda parte interamente acustica (con le chitarre di Robbie Gjersoe, il mandolino di Don Stiernberg e il cameo vocale di Kelly Hogan) è quella che riesce a smontare in parte le considerazioni finali su Revenge! Non perché si tratti di materiale scadente, ma perché il continuo gigioneggiare di Fulks (si vedano i giochi alla chitarra che introducono That's a Good Enough, o quelli che spezzano a metà In Bristol Town One Bright Day), il suo prendersi in giro (una versione della famosa Believe di Cher, l'ironica I Like Being Left Alone) e l'informalità dell'escuzione rendono i tre quarti d'ora di musica raccolta un poco farraginosa.
Nel finale qualcosa si aggiusta con le fragranze old time e bluegrass di Bluebirds Are Singing for Me e della strepitosa Away out on the Old Saint Sabbath, nonostante il volto elettrico di Robbie Fulks appaia decisamente più godibile e accattivante all'ascolto.