ROCKY VOTOLATO (The Brag and Cuss)
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  Recensione del  15/08/2007
    

Quello che per molti è il naturale dispiegarsi della propria maturità artistica, per altri è il segnale inequivocabile della caduta: si impara a suonare, a gestire l'arte paziente del songwriting e far risaltare l'esperienza acquisita, dentro un involucro sonoro più classico. Purtroppo si perde per strada quella componente un po' naif, arruffata, che denota invece la filosofia "indie" di questi anni. Anche Rocky Votolato, uno che presumibilmente deve già lottare molto nel music business con il cognome che si ritrova, è dovuto passare sotto le forche caudine di una critica snob e diffidente, che guarda caso non sembra perdonargli il suo passaggio alla pienezza country rock delle nuove ballate contenute in The Brag and Cuss.
È vero, da queste parti non batte più un cuore folk sommesso ed intimista, così come lo avevamo ammirato nel predecessore Makers. Se allora si scomodavano i beniamini Iron & Wine, oppure il vate Will Oldham, oggi finiamo persino dalle parti di Ryan Adams, dei Wilco più tradizionalisti, in generale scivolando lungo il crinale di una canzone imbevuta di stilemi alternative country. Il quinto lavoro del cantautore di Seattle aspira ad una perfezione elettro-acustica, con abbondante utilizzo di armonica, organo e pianoforte (nelle mani Rick Steef, già ammirato con Cat Power e Lucero) ed una ambientazione che catturerà i favori dei tradizionalisti.
Noi ci accodiamo volentieri, seppure non avessimo storto il naso nemmeno con l'altra faccia delle sue composizioni: in fondo basta apprezzare la buona musica senza preconcetti di sorta. Allora scoverete in The Bragg & Cuss, secondo episodio su Barsuk Records, una sequenza di dolci preghiere impastate di radici, una raccolta tenue che sobbalza lungo le colline del citato linguaggio alternative country: esemplare l'apertura con Lilly White, non da meno il banjo di Postcard from Kentucky e l'immacabile marcetta di Before You Were Born.
Votolato non ha mai cantato così bene e se qualche manierismo affiora di tanto in tanto, non è il caso di fare gli schizzinosi, semmai vale la pena incoraggiare un autore che tenta coraggiosamente di imboccare la sua strada e far emergere la sua personalità dentro gli spazi ristretti del genere affrontato.
The Wrong Side of Reno sbuca dal grande pozzo della West Coast, Your Darkest Eyes pencola su un piano honky tonk disegnando una ballata che riporta alle origini texane del nostro, Time Is a Debt e The Old Holland perfezionano lo stile confessionale con una brillantezza elettrica (merito anche del chitarrista Casey Foubert) che in passato usciva allo scoperto di rado, preferendo i mormorii acustici di una Silver Trees, giustamente posta a chiusura del viaggio, quasi a ricordare la provenienza artistica di Votolato.
Un folksinger che convince anche nella nuova veste: basta avere meno supponenza nel giudicare le svolte musicali degli artisti.