Se amate i cantautori romantici e con poche speranze, gli storyteller genuini e schietti, i sognatori con lo spartito e la chitarra in mano, gli spiriti ribelli che hanno il rock nelle vene ma che portano con sé influenze roots, prendete nota, questo
Michael Ubaldini fa per voi. Non si tratta di uno sconosciuto, anche se di un personaggio certo di popolarità ancora limitata. Ha realizzato ad oggi infatti ben cinque dischi in un continuo crescendo qualitativo:
Mystery Train per la Emi nel '94,
Hidin' From the Devil nel '96,
Acoustic Rumble, votato dal Los Angeles Time come il migliore dell'anno, nel '98,
American Blood nel 2000,
Rock and Roll Saloon nel 2002 e
Avenue of Ten Cent Hearts, disco entusiasmante, due anni fa. Questo nuovo
Storybook è qualcosa di speciale, di unico; è una riflessione personale e particolare sulla storia degli States, su di una nazione che in poco più di duecento anni è divenuta, tra luci e ombre, la più potente del mondo.
Si tratta anche del suo lavoro migliore, intenso, passionale, intimo, immediato, diretto; sembra la voce di un moderno troubadour che in piena libertà parla sia col cuore sia con l'anima, di un seguace di Springsteen in veste acustica, di un discepolo di Gram Parsons legato ai valori positivi del mondo del sud. Regala splendide canzoni, che più le ascolti, più ti entrano dentro, più ti avvicini loro, più ti convincono. Ed è realizzato con una formula musicale di studio semplice e lineare: Michael tiene per sé chitarre e armonica, come un vero folksinger, ad un paio di amici affida organo o piano da una parte, steel guitar o violino dall'altra. Il tutto per dare vita ad un suono puro, limpido, efficace, il giusto contorno per le sue splendide, dodici composizioni originali. Tra di esse
Riverboat Bell, ballata quasi elettrica che racconta le vicissitudini di un vecchio battello a vapore dismesso che ha solcato per anni le acque del Mississippi, ove colpiscono le immagini della sofferenza e del dolore, ora degli schiavi in catene, ora dei soldati senza più vita nelle loro tombe.
Charlotte & The Poorboy, tenera old time song con il violino in evidenza, che testimonia tutta l'inadeguatezza e l'incapacità che ci sentiamo spesso dentro di noi davanti all'oggetto del nostro amore, la superiorità dell'amata è umanamente incalcolabile.
Honeysuckle Dew, brano bluesy, un po' oscuro, con stacchi elettrici di slide guitar, che descrive un locale un po' malfamato, una sorta di bettola rimasta isolata dopo la costruzione di un'autostrada, dove tutto è possibile e disponibile e il peccato e la redenzione sembrano convivere gomito a gomito.
Rose And Brier Skies of Dixie, intenso pezzo southern dall'atmosfera un po' alla Neil Young, con ottimo lavoro di organo e armonica, che tiene alta la bandiera del sud e delle sue bellezze naturali.
Jukebox Extravaganza, lenta, deliziosa barrroom song, dove la steel recita bene il ruolo di accompagnatore languido e disperato e la voce di Michael nel parlato invita a mettere un altro dollaro nel Jukebox per ascoltare la triste canzone scritta da Willie Nelson per Patsy Cline.
Graveyard Station, hardcore country ballad da un lato, oppure desolato blues dall'altro, con breaks di dobro e ritornello impostato a due voci, che indugia su di una immaginaria stazione vicina al cimitero da dove nessuno torna più a casa, neppure dopo aver affogato le sue pene d'amore.
Somethin's Gotta Change, altra splendida folk ballad, avviata con sola voce e chitarra, che osserva come sia fin troppo facile desiderare che qualcosa cambi quando l'amore è vissuto come tormento ed estasi.
Sweet Autumn Rain, deliziosa adieu ballad, con gran lavoro del violino, dove il protagonista esplicita tutta la sua tristezza perché con l'estate se ne è andata anche la sua ragione di vita.
The Apricot Wind, altro eccellente motivo dai caratteri dolci e con un delizioso assolo di chitarra acustica, che registra un ulteriore addio, quello del soldato in partenza per il fronte.