Tutt'oggi musicista a tempo pieno nella band di
Shooter Jennings, impiego da bassista grazie al quale siamo stati attratti verso il suo nome,
Ted Russell Kamp dimostra in verità di avere tutte le carte in regola per farsi valere nell'arena Americana. Le motivazioni si possono intuire e giustificare: il nome assai più blasonato del collega gli permette di girare gli States, incidere per una major e godere delle gioie della vita on the road con un contegno professionale che una carriera al momento marginale non gli potrebbe certo offrire.
D'altronde la Pomo (Poetry of the moment) records non è certo l'Universal South, anche se da un punto di vista dei risultati musicali
Divisadero è una piena conferma del talento già messo in mostra con il precedente
North South.
Ted Russell Kamp lo ha scritto e registrato sulla strada, fra studi di registrazione improvvisati, stanze di motel e tour bus, senza peraltro lasciare la minima impressione di un disco raffazzonato. Tutto ciò nonostante l'apporto degli altri strumentisti questa volta si sia fatto poco più che un contorno: Kamp infatti maneggia di tutto - chitarre, lap steel, mandolino, accordion, piano, organo, tromba e via di questo passo - lasciando le bricole alla pedal steel di Eric Heywood (in due episodi) ed avvalendosi di qualche presenza fugace alle seconde voci (ci sono l'amico Shooter Jennings e la mamma di quest'ultimo Jesse Colter nella ballad spezzacuori Looking for Someone, oltre a Gina Villalobos e Leroy Powell).
Miracolosamente omogeneo e dal piglio più romantico rispetto al predecessore,
Divisadero è una carrellata di ballate dai forti profumi country rock (una vera delizia
The Last Time I Let you Down) e dalle avvisaglie southern, dove ancora una volta spuntano le ombre del venerato Gram Parsorns, della West Coast di Jackson Browne, di un'intera stagione mai dimenticata del rock americano, lanciato sull'ideale direttrice Los Angeles, Memphis, Nashville.
Divisadero rievoca questo viaggio con autorevolezza, ma senza grandi proclami: un talento naturale che sgucia fra rare impennate rock'n'roll (
Swinging Doors), questa volta assai più contenuto nell'energia profusa (giusto le fragranze southern soul di
Another One Night Stand e i fiati ridanciani di
Better Before You Were Big Time, roba degna di Leon Russel) e piuttosto incline alla ballata agrodolce (
Gipsy's Tune, Close Your Eyes Maria, il walzer
Music is My Mistress), al numero honky tonk (
Broke and Still Breaking), alle fattezze acustiche e decisamente roots (la confessione finale di
The Road Keeps Getting Longer). Prosegue dunque su un percorso parallelo
Ted Russel Kamp, dando l'impressione di non essere del tutto convinto dei propri mezzi tanto da spiccare il defintivo salto solista. Dovrebbe seriamente ripensarci.