ARTHUR DODGE (The Perfect Face)
Discografia border=parole del Pelle

     

  Recensione del  15/08/2007
    

Arthur Dodge ha deciso finalmente di giocare a carte scoperte: all'indomani delle indicazioni contenute nel precedente Room #4, disco notturno e dai chiaroscuri country blues, The Perfect Face completa l'opera di avvicinamento verso atmosfere più intime, dove l'anima del songwriter ha il netto sopravvento sulle chitarre del rocker di provincia.
Lo dimostra un dato all'apparenza soltanto superficiale come quello di intitolare il disco a proprio nome, rinunciando agli amati Horsefeathers, rock'n'roll band che lo accompagna sin dagli esordi. Questi ultimi sono peraltro presenti nelle registrazioni (con l'aggiunta di Adrianne Verhoeven ai cori), ma appaiono defilati, come se avessero capito le intenzioni dell'autore, facendo un passo indietro. Piccolo segreto della scena indipendente del Kansas, Dodge ha dimostrato nel tempo di non essere affatto catalogabile come il solito onesto mestierante del roots rock, di quel genuino e grezzo sound elettrico che infarciva i suoi primi dischi (Cadillacs & Ponytails da cercare nell'usato).
Il progressivo affinamento delle sue ballate, il ruolo centrale assunto dalle chitarre acustiche, dal pianoforte, da una voce rugosa e malinconica hanno aperto il repertorio ad una forma di ballata più morbida e folkie, quella in definitiva che prende il possesso del qui presente The Perfect Face. Non manca di certo l'ispirazione in episodi quali She wants Cowboys, vellutata country song degna del Neil Young di Harvest Moon, Black Blue Jeans, pianistica e autunnale, Million Year Muse e Idles of March, dolci nenie acustiche per piano e banjo (Eric Mardis), Last Night's You & Me, pigra come può esserlo soltanto una ballad di John Prine.
Ciò che forse andava evitato, aldilà di una produzione (in comune con Ed Hickey) giustamente scarna e tutta incentrata sulla sostanza delle canzoni, era l'eccessiva omogeneità del materiale raccolto, brani che nel prosieguo cominciano a rendere sfuocata l'immagine complessiva di The Perfect Face. Unendo nelle liriche una buona dose di ironia, quella che lo ha spesso fatto accostare a Randy Newman, al romanticismo che si conviene per accompagnare una musica di tal fatta, Dodge ha staccato la spina trasformando le sue canzoni in qualcosa di assai meno eccitante del passato, ma forse con un futuro più longevo.
Un disco cantautorale sincero e consapevole delle sue origini (si veda la conclusiva cover acustica di San Diego Serenade di Tom Waits), e tuttavia ancora in via di definizione: Arthur Dodge ha buone qualità autorali, vanno sfruttate con l'aiuto di una maggiore immaginazione.