DALE WATSON (From The Cradle to The Grave)
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  Recensione del  20/05/2007
    

Secondo Dale Watson, che è nato in Alabama, nel 1962, ma ha da tempo adottato il Texas quale vero e proprio "luogo dello spirito", la musica country è morta. La ferale notizia perviene tramite l'immagine di copertina del nuovo From The Cradle To The Grave, dove fa bella mostra di sé una lapide recante le parole "Country Music R.I.P." (funebre acronimo di "rest in peace", riposi in pace).
Interessante notare come, a parer di Watson, non sia morto "il country", bensì la "country-music", dove il termine musica country è naturalmente da intendersi nella sua accezione più ampia e articolata: non soltanto un genere musicale, quindi, ma un'ideale, un'espressione basilare nell'articolazione del linguaggio del suono americano, una categoria esistenziale per chiunque ritenga le radici qualcosa in più delle semplici estremità che avvitano un albero o una pianta al terreno. Watson, insomma, ci dice che il carattere autentico del country ha fatto i bagagli molto tempo fa, sottoponendocene altresì un breve ripasso (26 minuti in tutto) "dalla culla alla tomba".
Il bello è che, nonostante nell'autobiografica Hollywood Hillbilly citi anche Willie Nelson, Hank Williams e Lefty Frizzell, per Watson il country dalla a alla z si riassume completamente in Johnny Cash. From The Cradle To The Grave rappresenta difatti un omaggio sotto mentite spoglie alla poetica e coordinate stilistiche dell'uomo in nero: identica o quasi alla sua è l'impostazione vocale, che spinge il baritono verso profondità inedite; identico o quasi lo sfruttamento del classico boom-chicka-boom percussivo, sbuffante e incalzante che fu di Cash; identico o quasi il ricorso costante a quei fiati mariachi che fanno tanto Ring Of Fire e in più di un'occasione spingono l'ascoltatore a verificare di non avere inserito per sbaglio nel lettore un album di Johnny.
Anche se fosse, però, non c'è dubbio alcuno, nemmeno per un secondo, che si tratterebbe di un Cash minore. Convinto il giusto, disinvolto il giusto. Certo, la cavalcata di Tomorrow Never Comes dispensa convinta elegia western. Justice For You farebbe un figurone a un matrimonio messicano (ammesso e non concesso che i messicani non siano abbastanza furbi da telefonare ai Los Lobos). It's Not Over Now, prima di appiattirsi sul consueto canone Cash, strizza l'occhio contemporaneamente a Elvis e a Marty Robbins. Nessuno mette in discussione la genuinità del sentimento di Watson. Johnny Cash è una leggenda anche per me.
Ma pure se arrivassi a comprare una baita a lui appartenuta, come ha fatto Dale, in una trattativa amichevole con Johnny Knoxville (il folle diventato famoso su Mtv grazie agli stunts indiavolati di Jackass), non per questo mi sentirei in dovere di registrare un disco dove lo imito per filo e per segno. Dale Watson è un honky-tonker coi fiocchi: ruvido, sanguigno, tendente al rock'n'roll. Non varrà il talento sregolato di un Hank III, eppure talvolta sembra giocarsela alla pari con Jackson Taylor. From The Cradle To The Grave risulta dunque atipico, nel contesto della sua produzione.
Suona come un omaggio sincero a un pilastro della crescita musicale del suo autore, ma difetta in personalità. Esibisce tanto cuore (quasi ovvio), ma sembra frutto del mestiere piuttosto che dell'ispirazione. Poco male: sovente una passione sincera può sopperire una momentanea carenza di creatività. Ma siccome - ci dice l'artista - la country music è morta, e quindi non dovrebbero esserci più paletti, circoscrizioni e condizionamenti, auspico che Dale Watson torni a dedicarsi al più presto a quel che sa fare meglio. Essere se stesso.