RON FRANKLIN (City Lights)
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  16/04/2007
    

Non è proprio uno sconosciuto Ron Franklin. Ha trenta anni, ma ha già una certa esperienza alle spalle. Anche se questo è il primo disco che viene pubblicato a livello internazionale, Ron ne ha incisi almeno altri otto. Tutti editi a livello personale. I più noti, quelli che gli hanno fatto trovare il contratto con la Memphis Int'l, sono World Famous Memphis Obscurity e Blue Shadows Fading. Ma se in alcuni di questi dischi si potevano trovare elementi di interesse, la produzione era abbastanza povera e gli arrangiamenti talvolta esili. City Lights è ben diverso.
Si avvale di una produzione professionale e di un suono vero: grazie al lavoro di Leroy Starr. Tra i musicisti coinvolti c'è Jim Dickinson, e questo la dice tutta sul suono. Poi Franklin ci mette le sue canzoni, un bel cocktail di The Band e Chuck Berry, composizioni calde e coinvolgenti. Sin dall'iniziale Warming By The Devil's Fire si capisce che ci troviamo di fronte ad un disco vero. La canzone è forte, ha molto del suono di The Band ed una melodia che cattura, di grande presa (sentite cosa fa Dickinson al piano). Basterebbe già a coinvolgere, ma poi c'è lo swamp rock di Little Suzie, che mischia sonorità anni sessanta con spicchi di Fogerty, e capiamo una volta per tutte che Mr. Franklin è qui per sorprenderci.
Anche la turgida What Is This Present Moment ha una bella melodia, il piano danza, e la canzone scivola in un attimo. La voce di Ron è chiara, da cantautore vero, ma la sua musica ha in nuce quaranta anni di rock. Luta Wall, sempre un bel piano a ricamare la melodia, rallenta i toni e dispiega la sua musica in modo più delicato. Black Lightnin' ha radici nel suono di New Orleans, con un ritmo aggressivo dietro alla voce limpida.
How Free I Will Be This Morning cambia ancora tono, è evocativa. Il secondo lato (Franklin ha diviso il CD come fosse un LP) inizia con la roccata Thirty Days che richiama il vecchio Berry, il suono è forte, il ritmo pure. Peccato che sia troppo simile a Forty Days di Ronnie Hawkins, ma per chi non lo sa è un bel pezzo di rock. That'll Never Happen No More ha l'approccio folk blues di Mississippi John Hurt, Beyond The River è una ballata lenta, piena di belle intuizioni. Il disco si chiude con Let The Rodeo Begin, molto dylaniana (ascoltate l'uso dell'organo), Gloryland, la più atipica, e City Lights, intensa e folkie.