SCOTT MILLER & The COMMONWEALTH (Reconstruction)
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  Recensione del  16/04/2007
    

Sono già passati diversi anni, sei per la precisione, da quando Scott Miller ha esordito come solista con Thus Always To Tyrants. Quello rimane poi il suo disco migliore, un bel cocktail di folk e rock, personale e disincantato, che Miller faticherà a ripetere nei seguenti lavori: Upside Down side (2003) e Citation (2006). Ma il ragazzo non ha perso la vena. Ha iniziato come chitarrista e seconda voce nei V-Roys, band prima al servizio di Steve Earle, poi per la propria strada. Ma è come solista che si è fatto definitivamente un nome.
Ascoltando questo nuovo album, il suo primo lavoro dal vivo, ci rendiamo conto che Scott ha un proprio stile: mischia abilmente il folk, la musica degli Appalachi e le canzoni tradizionali della guerra di secessione, con robuste dosi di rock e chitarre. Ne viene fuori un suono diverso, talvolta innovativo, ma comunque personale con dei momenti travolgenti ed altri nella norma. Reconstruction, registrato dal vivo nel Dicembre 2006 a Johnson City, Tennesse, si può definire il suo lavoro più personale e più riuscito. Il suono è semplice, chitarra basso e batteria, poi c'è Scott, bella voce, e ci sono le sue canzoni.
Dall'iniziale Made a Mess of This Town che si apre a sventagliate di chitarra, ma rimane fondamentalmente una folk ballad, alla folkie Amtrak Cresent, una delle gemme della serata, dal ritmo incalzante e dalla melodia che cattura al primo ascolto. Angels Dwell profuma di radici, ha quasi una melodia di fondo tradizionale, mentre Jody è godibile sin dall'intro di chitarra e si gusta in un baleno. Eight Miles Per Gallon è elettrica e molto sudista, mentre Arianne mette a fuoco le sue radici di balladeer, poi il rock and roll regna sovrano in I Didnt Take Too Long, che sembra un brano di Chuck Berry.
Anche Only Everything segue la medesima linea mentre Dear Sarah sembra uscita da un vecchio disco di Bob Dylan: melodia solida, voce perfetta. Il concerto prosegue su questa falsariga, con Scott che mischia le sue radici con la sua voglia di rock, e riesce a regalare ancora emozioni, in puro stile Americana. Anzi si più dire che Reconstruction sia un piccolo manifesto dello stile Americana, in quanto coinvolge folk, rock, country, blues, radici e memorie.
Scott è bravissimo a tenere desta l'attenzione e regala ancora momenti da gustare come Still People Are Moving, On A Roll e la turgida Wild Things. Finale in crescendo con la folk ballad, poi girata in puro rock and roll, For Jack Tymon, il traditional Drunk All around This Time, Spike (di Tom Petty), una bella rilettura di Hawks and Doves (di Neil Young), il rock and roll Goddam the Sun e l'evocativa Is There Room on the Cross?, in chiave gospel. Un concerto estremamente godibile, vario e ben suonato, che ci fa capire che Scott Miller è finalmente pronto per il grande salto.