JOE ELY (Silver City)
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  Recensione del  16/04/2007
    

Dopo la mezza delusione di Happy Songs From Rattlesnake Gulch, un disco atteso per quattro anni che non portava nulla di nuovo, ecco la sorpresa di Silver City. Il disco contiene dieci canzoni che Joe ha scritto tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta, prima di entrare nei Flatlanders (1972). Dieci canzoni inedite che ha deciso di registrare solo qualche mese fa. Quindi un disco nuovo a tutti gli effetti che il nostro ha registrato suonando tutti gli strumenti, eccetto la fisarmonica (che ha una parte fondamentale) e che viene suonata da Joel Guzman.
Un disco di ballate di confine, tra Texas e Messico, con il Joe Ely che ci piace di più, quello epico ed evocativo, poetico e immaginifico. Canzoni di grande passionalità con Joe alla voce, chitarra, armonica e percussioni e Joel Guzman che riempie gli spazi con la sua fisarmonica piena di suoni e colori. Silver City non solo ci fa ritrovare un vecchio amico, ma ci entusiasma. Joe è tornato creativo come ai bei tempi e, non contento di avere pubblicato due dischi in due mesi, ne sta per pubblicare altri due (attenzione saranno due dischi solo parlati con del recitativo su testi e poesie, una scelta bizzarra). Ma Silver City basta ed avanza. Apre il brano che da il titolo alla raccolta.
Una western ballad, forte ed evocativa, che ha il tocco classico di Ely, le sue inflessioni, la sue pause, le sue ripartenze. Una di quelle canzoni che toccano nel profondo e che ci fanno capire perché abbiamo sempre amato questo texano indomabile. Ed ora che ha la sua etichetta ne vedremo delle belle, ne sono sicuro. Silver City è puro piacere, musica del cuore, musica che nasce e germoglia solo in Texas. Santa Rosa/St. Augustine è una composizione introspettiva, malinconica, che prende colore quando Joel Guzman lascia fluire il suono caldo della sua fisarmonica.
La voce di Ely e la fisa di Guzman, un'accoppiata perfetta. Indian Cowboy mantiene intatte le tematiche del nostro: è una frontier ballad, con il basso che pulsa dietro alla voce, la melodia epica che accompagna un testo forte. La canzone contiene le tematiche classiche di Joe, è pura e profonda e entra dritta nel cuore e poi il finale con Guzman è entusiasmante. Wounded Knee parla del famoso massacro del popolo pellerossa: anche qui la canzone ha un fondo epico, la storia scorre nelle parole amare di Joe ed è piena di passione. Cloister Mountain inizia per voce e chitarra e mischia classici passaggi di Joe con tematiche western.
C'è una storia di confine nelle parole di Ely e la ballad è tesa e vibrante, poi Guzman da ulteriore colore al tutto e la sposta dalle colline del Montana alle pianure del Messico. Time For Travelin' è più lenta, meditata, studiata. Ma le cadenze sono quelle classiche e la voce di Joe, che canta in modo splendido, riempie l'atmosfera malgrado dietro ci sia solo la sua chitarra. Poi entra ancora una volta Guzman e da il cambio alla voce e la combinazione fa faville. Passionalità e poesia. Time For Travelin' ha Dylan e Butch Hancock (ma lo conosceva già?) nelle sue note, è sempre fiera e non si piega di fronte a nulla. I Know Will Never Be Mine ha molte analogie, il tempo di base, la voce che quasi racconta, i temi della frontiera, la passione, con le composizioni più classiche del nostro.
Drivin' Cross Russia richiama canzoni come Me and Billy The Kid, mentre Windy Windy Windy sta tra folk e Woody Guthrie. Chiusura con Billy Boy una composizione drammatica di indubbio spessore. Più di sette minuti di grande musica in cui si mischiano tutte le tipologie dello stile di Ely. Il racconto western, l'epica di fondo, l'intro lento pieno di aspettava, la canzone che si sviluppa rendendo sempre più libera e fluida la melodia di fondo. E poi, verso la metà, entra in gioco anche Joel Guzman e le colline si colorano di verde, le strade si perdono nell'orizzonte, le pianure sono ondulate, i fiumi scorrono ed il cielo è di un azzurro talmente acceso che lo si può vedere solo in Texas. Silver City è un piccolo grande disco. Il disco di una artista indomabile che ha voluto tornare con un'opera assolutamente personale, fuori da ogni logica commerciale. Come fanno i grandi. E Joe è uno dei grandi.