DANNY & DUSTY (Cast Iron Soul)
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  Recensione del  16/04/2007
    

Anche se il tempo del rock'n'roll non è lo stesso della vita, perché l'età vuol dire tutto e niente, i vent'anni passati tra The Lost Weekend, il primo disco di Danny & Dusty, che sono sempre Dan Stuart e Steve Wynn, e Cast Iron Soul servono a vedere in prospettiva tutto quello stralunato paesaggio umano.
Nonostante la sua natura estemporanea The Lost Weekend è diventato e resta un simbolo anche perché con Dan Stuart (Danny) e Steve Wynn (Dusty) si era focalizzato allora tutto lo spirito di una piccola comunità che si ritrovava attorno alle sue tre rock'n'roll bands più importanti: Long Ryders, Green On Red, Dream Syndicate. Curioso che una session informale e divertente sia diventata una sorta di celebrazione di quell'attimo fuggente, ma così è e resta a tutti gli effetti.
Da allora tutto è cambiato, niente è cambiato: le rock'n'roll bands si sono sciolte, le carriere soliste sono andate su (per Steve Wynn) e giù (per Dan Stuart), Dusty è il solito romanticissimo troubador, Danny è lo scorbutico di sempre. Il tempo però ha aggiunto un filo di saggezza al primo e un pizzico di ironia al secondo e così Steve Wynn si è lasciato alle spalle i suoi lati più oscuri e Dan Stuart, pur borbottando in continuazione, è diventano un po' meno irascibile e rissoso.
Gli spigoli si sono smussati ed è per questo che Cast Iron Soul non è né la seconda parte di The Lost Weekend (anche perché non sarebbe possibile) né una reunion nostalgica, ma qualcosa di diverso, a partire dal rinnovato incontro di due songwriter veri. Intanto è un po' più organizzato del primo capitolo, con un produttore (l'esperto JD Foster) che oltre a gestire Danny & Dusty, riunisce Johnny Hott (dagli Sparklehorse), Bob Rupe (dai Cracker) nonché Stephen McCarthy e Chris Cacavas che avevano già dato all'epoca. A differenza di The Lost Weekend qui le firme di Danny & Dusty invece si sentono distintamente: il gusto pop (Thanksgiving Day) e noise (Hold Your Mud) di Steve Wynn; quello per certe ballate polverose(Last Of The Only Ones, che poteva stare benissimo tra This Time Around, e Scapegoats) o beatlasiane (Let's Hide Away) di Dan Stuart.
Di veramente inedito Cast Iron Soul rivela un insolito lato rhythm and blues con i fiati della caotica The Good Old Days e New York City Lullaby, (e sembra persino una canzone da The Wild, The Innocent & The E Street Shuttle) compreso l'assolo di tromba e il ritmo di It's My Nature, soul, ma anche il funk di Raise The Roof (splendide le chitarre) o di JD's Blues (rumorosa, divertente, ma anche fine a se stessa) con un grande Dan Stuart e ancora nel taglio tipicamente Big Star di Cast Iron Soul. Non è che tutto funzioni alla perfezione (anche perché Danny & Dusty sono e restano molto informali) però Cast Iron Soul è un disco godibilissimo, pieno di musica e di storie. Compresa quella, ispirata dalla realtà, dei due protagonisti che si alternano a cantare in That's What Brought Me Here, una sorta di confessione in stile Willie Nelson e raccontano uno dopo l'altro, strofa dopo strofa, tutta la loro versione dei fatti. A chiudere il cerchio, una versione limitata di Cast Irol Soul conterrà un DVD con un raro concerto di Danny & Dusty del 1986.
Magari dovremo aspettare altri vent'anni, per ascoltare il ‘terzo difficile album’ di Danny & Dusty, ma siamo sicuri che non mancheranno all'appuntamento finché il rock'n'roll (che fa solo bene) ce li conserverà in salute.