BRANDON JENKINS (VII)
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  Recensione del  14/02/2007
    

Altro nome nuovo da seguire quello di Brandon Jenkins, nato in Oklahoma ma residente oggi in Austin, Texas, che si propone sulla scena con un bell'album di Americana music che mette insieme country, rock e blues, risultando fresco e spontaneo, in una parola decisamente godibile. Il suo titolo ci fa capire subito che l'emergente giovanotto non è alle prime armi, tutt'altro, questo dovrebbe essere il suo settimo disco, ma non è facile però riuscire a risalire a tutti i precedenti.
Il suo primo lavoro è stato lo splendido The Ghost Of Jesse James, pubblicato dalla Remorseless Records nel 1998, cui è seguita la registrazione dal vivo Live at the Blue Door nel 2000. Due anni fa è uscito su Emergent Down In Flames, un cd che ha riscosso un notevole consenso di critica e che ha piazzato due singoli nei top ten delle Texas Music Charts. Diversi sono stati poi i riconoscimenti ottenuti da Brandon, tra questi, nel 2003, canzone dell'anno con il brano My Feet Don't Touch The Ground all'Oklahoma Red Dirt Music Award e nel 2005 miglior video con Down In Flames all'AMN Video Awards. Nel corso della sua carriera Jenkins ha suonato molto dal vivo ed è stato al fianco, tra gli altri, di personaggi come Willie Nelson, David Allan, Coe, Pat Green, Kevin Welch, Hank Williams Jr., Charlie Daniels, Ray Willie Hubbard.
Diversi artisti hanno cantato alcuni suoi pezzi, tra questi i Red Dirt Rangers. VII è un progetto prevalentemente elettrico, fatto di brani soltanto originali, che denuncia passione, intensità e impegno. Brandon, che sembra approcciare la musica country in piena libertà artistica, in modo spigliato e sciolto da sottolineare che in ogni pezzo c'è un bell'assolo chitarristico rivela del talento come songwriter, mentre quale cantante tutti dicono di lui che possiede una gran voce, anche chi gli ha rifiutato una chance nel ruolo. Venendo al disco, Why Did We Ever Say Goodbye, l'opening track, è uno scorrevole country dal sottofondo chitarristico byrdsiano, già uscito come singolo che pare vada un sacco bene. Call Of The Road, colla sua più decisa andatura rock rimarcata dalla batteria, sa decisamente di canzone sul fascino della strada, cui il protagonista non sa proprio resistere.
Stay Here With Me è una lenta ballad, dal bel suono di chitarre e con l'appoggio di una voce femminile al controcanto, che invita a riprovarci con i sentimenti, sia pure dopo pesanti esperienze negative, Saturday Night è il richiamo irresistibile delle luci della città, che si esprime in toni un po' arrabbiati. When I Look In Your Eyes è una tipica canzone d'amore, dai toni leggeri e semplici, dove l'assolo chitarristico piace per davvero. All I Ever Wanted è un'altra love song dall'andatura lenta con un piacevole ritornello, che tende al lieto fine, i sogni si avverano qualche volta nella vita. Livin Down On The Line invece cambia completamente sia il ritmo, siamo in area soul blues e l'assolo della chitarra elettrica fa pensare a uno Steve Stills con le dita hard, sia il contenuto tematico, siamo troppo condizionati dal potere del denaro.
The Ghost, è una drammatica ballata, semi-acustica, che induce a riflettere sulla situazione del protagonista, un uomo che ha rinunciato a vivere dopo la perdita del figlio, rifugiandosi nell'alcol e nelle anfetamine. Painted On Smile è il motivo più bello della raccolta, un'altra intensa ballata, leggera e lunga, e con tre stacchi strumentali uno più interessante dell'altro, tesa a descrivere fino dove può spingersi la disperazione umana. I Still Think Of You infine è una delicatissima country ballad dove brilla il contributo della steel guitar, amara testimonianza, purtroppo, di un altro amore finito.