Una nuova band texana è tra noi.
Ryan Bales ed i suoi pards (Cody Brown, chitarra solista, Clay Oliver, batteria, e Paul Thomas, basso) vengono da San Marcos, ma sbagliate se pensate che ci troviamo di fronte all'ennesima barband di country-rock tipica del Lone Star State (che pure non sarebbe male). I quattro potrebbero infatti provenire benissimo dall'Alabama, dalla Florida, dal South Carolina o dalla Georgia, ovvero da quegli stati del Sud in cui negli anni settanta proliferavano le southern rock bands: infatti Bales e i suoi si rifanno a quel suono classico (anche se la copertina del loro disco d'esordio
Revival è un omaggio a tutti i grandi del rock e non solo, si intravedono immagini di Dylan, Hendrix, Young, Willie Nelson ed altri che non riesco a decifrare), fatto di chitarre, sezione ritmica formato macigno, voci potenti.
I Lynyrd Skynyrd più classici (non i quasi metallari odierni) sono la fonte d'ispirazione più evidente, ma il sound della band ha anche molte similitudini con i Black Crowes; sarebbe però un errore sottovalutarli pensando che siano solo dei muscolari e basta, in quanto Bales è un autore di canzoni valido, che rispetta i classici ma ci mette anche qualcosa di personale, ed i suoi tre compari suonano con anima (specie Brown, un chitarrista coi controfiocchi). Tre quarti d'ora di sana southern music, quindi, e non c'è molto altro da aggiungere. L'iniziale
Moonshine è un potente rock-blues sulla falsariga dei classici della band dei fratelli Robinson: Brown rilascia assoli micidiali e Bales tira fuori una voce niente male (una via di mezzo tra Steve Earle, ma con più forza, e Ronnie Van Zant).
Closet ha un grande intro in cui le chitarre acustiche ed elettriche si passano la palla di continuo, poi entra la voce secca e la sezione ritmica, e ci ritroviamo con un brano rock classico, di notevole impatto emotivo. La bella
Heartbreaker, sempre molto elettrica, si sposta un po' sul versante roots: una perfetta road song chitarristica, figlia del vento e della polvere.
Just Not Good Enough, unica cover presente (è di Mike McClure, già saccheggiato dai bravi Cross Canadian Ragweed) è più attendista (ma il muro di chitarre nel ritornello è impressionante), la lenta
Smile è un'oasi gradita dopo tanto roccare.
Nell'epica
Up From The Bottom tornano a furoreggiare le chitarre, ma non c'è solo volume, ma anche anima ed idee, così come nella ritmata
Break Me, ancora chitarristica ma con un bel gioco di percussioni.
Taryn's Song è uno slow tipico di certe band sudiste, pieno di sentimenti ma privo di sdolcinatezze;
Outlaw ha un inizio acustico ma un proseguio che definire pressante è eufemistico. Chiusura ad alto tasso adrenalinico con la possente
Little Fame e la quasi countreggiante (ma niente violini e mandolini)
Better Off Dead. Un ottimo disco, una band che sa il fatto suo: da mettere sullo scaffale vicino al recente live di Shooter Jennings.