CALVIN RUSSELL (Live 1990 at the Kremlin)
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  Recensione del  13/02/2007
    

Ci eravamo innamorati di questo loser, dal volto segnato da una vita vissuta pericolosamente, tra la frontiera e il carcere, il contrabbando e le armi e altre attività che, prima o poi, finiscono invariabilmente male. Calvin Russell ne sgusciò fuori imparando le canzoni di Townes Van Zandt e Blaze Foley, di Jimmy Reed e Bob Dylan e mettendo insieme una rock'n'roll band, i Characters, che, dopo aver pubblicato un misconosciuto e omonimo album, divenne e restò a lungo il suo gruppo. Si trattava dei fratelli Waddell (Leland alla batteria e David al basso) e del funambolico chitarrista Gary Craft a cui, strada facendo, si aggiunge il sassofonista Thomas Ramirez.
È con loro che Calvin Russell firmò e suonò in tour i suoi due dischi migliori, A Crack In Time e Songs From The Fourth World e Live 1990 At The Kremlin ha l'onore di fissare un momento storico: come racconta un rock'n'roll heart al di sopra di ogni sospetto come Patrick Mathe nelle scarne note di copertina, con ogni probabilità il 16 novembre 1990 i Characters suonarono l'ultimo concerto ed esordirono come gruppo di Calvin Russell. Lui compreso, erano un gruppo grezzo, tosto e deciso, magari incapace di grandi raffinatezze, ma sempre pronto ad infuocare i club e nella serata giusta anche di regalare qualche scampolo di ottimo rock'n'roll. A tratti lo si sente anche in Live 1990 At The Kremlin che però, a dispetto delle qualità di Calvin Russell e dei suoi pards, è penalizzato da una resa sonora che ormai non è consentita nemmeno al più improbabile dei bootleg.
La Stratocaster di Gary Craft, tecnicamente il più dotato, è sempre fuori dalle righe, nel senso che a volte si sente fin troppo, spostando il suono ai limiti dell'heavy metal, e a volte scompare completamente lasciando solo Calvin Russell, che non verrà ricordato nelle enciclopedie per essere un grande chitarrista. In primo piano ci sono sempre il basso e la batteria dei fratelli Waddell che erano e restano monolitici, ma non bastano a reggere più di un'ora di musica con la voce dolente di Calvin Russell.
Il possibile contrappunto, molto efficace dal vivo, era il sassofono di Thomas Ramirez che qui viene sacrificato senza tanti complimenti. Resta il ricordo delle belle canzoni che costituivano la spina dorsale di A Crack In Time (Living At The End Of The Gun, Big Brother, Automated e lo spettacolare riff di You'Re My Baby) e poco possono le versioni di All Along The Watchtower (peraltro non molto ispirata) e Nothin' di Townes Van Zandt, che chiude lo show. Trascurabile.