Ormai non ci speravamo più, anzi diciamo pure che lo avevamo riposto in qualche angolo della memoria, anche perché non stiamo parlando di un attore protagonista. Un cavallo di razza però, e di quelle con la pella dura, lo è senz'altro: per questo motivo, dopo cinque anni di travagliato silenzio,
Ron Lasalle prova a giocarsi una seconda chance con la pubblicazione di
Nobody Riders for Free. Per chi avesse giustamente perso le puntate precedenti, questo newyorkese trapiantato a Nashville passando via Memphis, possiede un'ugola al catrame e una passione smodata per quei luoghi musicali dove rock'n'roll bianco e nero, radici country e pulsioni rhythm'n'blues si incontrano producendo un suono gracchiante, verace e naturalmente sudista.
Il capitolo precedente, tutt'oggi anche l'unica significativa testimonianza di una carriera ai margini, che si arrabatta fin dagli anni settanta, si chiamava
Too Angry To Pray e fu una delle sorprese indipendenti del lontano 2001. Nel frattempo è passata molta strada sotto le scarpe di
Ron Lasalle: concerti in ogni buco disponibile, una vita on the road spezzata infine da un matrimonio andato in pezzi. Vicende umane che vengono raccontate con semplicità nelle nuove tredici canzoni raccolte con la sua fedele rock'n'roll band, in cui spiccano le chitarre del fido Brent Little, l'organo e il piano di Greg Wetzel e ultime ma non ultime una congrega di voci femminili che spargono profumi di soul music su una buona fetta di Nobody Rides for Free.
Quest'ultimo resta un disco più "sofferto" e meditato del suo predecessore, non solo nei tempi di registrazione, generalmente meno eccitante nei toni e nelle ritmiche, fatta eccezione per il rockaccio
Changing Horses e le pulsioni r&b di
What Never Was e
Act Our Age, solari e coinvolgenti. Si parte infatti con il lamento di
Nashville Blues: Ron Lasalle lava via i dispiaceri della sua recente storia d'amore con un testo semplice, un botta e risposta che rimanda ai vecchi crocicchi del Sud. Il blues e le pene d'amore ritorneranno insistentemente con i lentacci
Got Love to Blame e
Changed my Ways, fino ad approdare nella braccia della notte con
Running Blues.
La voce ruvida e negroide di Lasalle va a nozze con questo repertorio, seppure si tratti di uno standard meno fantasioso e senza dubbio ben codificato nelle regole del pianto blues. Sono dunque le ballate a dare una fisionomia convincente, trasformando
Nobody Rides for Free in una romantica traversata nei terrotori del country soul: commovente innanzi tutti il crescendo di
I Am Love, brano che da solo vale il prezzo del viaggio con il suo impasto di voci e animosità.
Struggenti le note d'autore in
Try to Trust Again, ballata soul rock da manuale degli anni settanta; colorata di tonalità più roots
She Did Love Me, in cui ritornano i riferimenti a John Hiatt già spesi in passato; acustiche e molto intime infine
I Still Talk to Angels e la stessa title track. Un lavoro intriso ancora una volta di una passione blues che si è fatta finanche più esplicita, ponendo
Ron Lasalle, outsider per vocazione, in un limbo dove le radici non portano unicamente il nome abusato del movimento Americana.