Ci eravamo ripromessi di tornare presto sulle tracce di
Brock Zeman, all'indomani della scoperta del precedente
Songs of Mud e della curiosità suscitata da un disco carico di profumi roots-bluegrass, nonostante il suo autore fosse un ragazzo dell'Ontario, Canada.
Era annunciato infatti un secondo imminente sforzo, questa volta a carattere elettrico, che potesse definire meglio i contorni del songwriter: l'omonimo
Brock Zeman & The Dirty Hands, accreditato dunque in condivisione con i musicisti che lo accompagnano in studio, conferma l'attitudine squisitamente rurale della sua musica, ballate a cavallo di un country rock provinciale, che potranno attirare le curiosità di chi in questi anni ha saputo apprezzare il lavoro di Chris Knight o Jack Ingram.
La sequenza è lunga, quindici brani, e forse troppo generosa (qualche taglio avrebbe donato più scorrevolezza), ma le avvisaglie di un buon talento ci sono tutte, in questa occasione anche più efficaci rispetto al passato.
Mediando infatti con la precedente anima, più tradizionalista e acustica, Zeman si apre ad un robusto sound elettro-acustico, reso alla perfezione dalla consistente resa della band, tra i quali emergono le chitarre di Keith Glass (anche produttore), il mandolino e il dobro di Kevin Sullivan e la pedal steel di Dennis Delorme.
Nothing on the Radio e
Sweet Charlotte sono il biglietto da visita di questa nuova veste da fuorilegge del country: chitarre chiassose alla Stones e mandolini dai profumi southern rispolverano lo stile che fu del giovane e imberbe Steve Earle, quello di Guitar Town e Exit O.
Su questa falasariga si sviluppa il tema portante di tutto il disco, che tocca punte honky tonk più scanzonate in
Two Steps Back e
White Freight Liner (cover di Townes Van Zandt), lambisce il bluegrass in
Raise Your Hands ed alza infine un po' di polvere texana nelle ballate elettriche
Amanda e
My Heaven, quest'ultima un piccolo gioiello di heartland rock alla Chris Knight. Non mancano evidentemente gli spazi per ballate più contenute e dal taglio folkie, soprattutto nella seconda parte del lavoro:
Danny's Song (The Fiddler's Gone Home), dedica ad un amico scomparso, Breanna Harrison,
Another Song o la chiusura sulle note della discorsiva
Talking Reality Show Blues (avrebbe potuto scriverla Todd Snider) mostrano il volto cantautorale e l'amore sconfinato di Zeman per la musica di John Prine.
La loro presenza placa gli umori elettrici della prima parte del disco, ma non evita la presenza di qualche episodio meno riuscito (lo strano ritmo di begin sul country desertico in
Bones) e ci consegna un songwriter vecchio stampo. È solo nato nel posto sbagliato, fosse stato ad Austin…