CARY HUDSON (Bittersweet Blues)
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  Recensione del  18/12/2006
    

L'agrodolce blues di Cary Hudson è il terzo capitolo solista per l'ex voce e chitarra dei Blue Mountain, band che non mi vergogno a definire un autentico tesoro nascosto della scena roots sudista. Da anni Hudson si arrangia con la sua personale etichetta, la Black Dog records. Questa volta non è intervenuta nemmeno la tedesca Glitterhouse, solitamente benevola nel pubblicare sul mercato europeo i suoi precedenti lavori (gli ottimi The Phoenix e Cool Breeze), e dunque Bittersweet Blues si è perso nel mare delle mille produzioni indipendenti, con una distribuzione pressochè inesistente.
Lo recuperiamo in dirittura d'arrivo di questo 2006 per constatarne la dimensione raccolta e quasi interamente acustica, accompagnato sporadicamente e solo nella seconda metà del disco dal suo fedele trio. Batte la ritirata Cary Hudson e si accontenta delle briciole: meno paludoso ed elettrico del solito, il suo canto si è fatto questa volta nostalgico e folkie, una corda da sempre presente nelle sue composizioni. Dominano dunque le tonalità crespuscolari e solitarie, una serie di ballate per sola voce e chitarra (la riedizione di Epitaph, orginariamente su Dog Days, e ancora Passing by, Sleeping Under the Stars, Song in C), talvolta abbellite da un'armonica (Snow in Mississippi), composizioni in cui l'ottimo stile fingerpicking, le radici country blues e folk, i riferimenti ad eroi musicali quali Mississippi John Hurt o Reverend Gary Davis (nel caso consiglio di ascoltarsi Freight Train) si rendono più esplicite.
La voce di Cary è ancora una volta autentica, credibile, si appoggia morbidamente al pizzicare della sei corde acustica, anche sei toni si mostrano troppo rilassati, chiusi a riccio. L'impressione è che il totale silenzio che ha ricoperto la sua carriera dopo lo scioglimento dei Blue Mountain lo abbia in qualche modo allontanato, speriamo momentaneamente, dall'eccitazione del rock'n'roll. Anche la parte centrale, quella come si accennava in precedenza, "arricchita" da batteria, basso e qualche timida nota di elettrica, non osa tuttavia scardinare la formula del disco: Shoofly Blue e 2>1 sono una coppia di soffici ballate folk rock, sorpassate in passione unicamente da una più ruspante Just Stuff, forse il testo migliore della raccolta, attraversato dalle ombre fosche di Katrina e dal disastro umano di New Orleans.
Nel finale si abbassano ancora le luci con Love Can Find a Way, una melodia semplice semplice alla chitarra e un po' di nostalgia per un artista che meriterebbe altri mezzi. Così forse anche i suoi dischi suonerebbero con più convinzione.