Da Atlanta, Georgia arriva un quartetto dal grande impatto sonoro che rappresenta al meglio quanto la scena indipendente possa offrire in termini di ‘roots-rock’. Prima di tutto bisogna sottolineare quanto alta sia la qualità di questi prodotti: registrazione impeccabile, artwork curatissima e packaging intrigante sono ai livelli delle produzioni ‘ricche’ delle major, con il vantaggio della libertà artistica che è un punto assolutamente vincente.
The BlueJays sono all’esordio ma da parecchi anni, separatamente, ravvivano la scena roots della loro città e ora il loro mix di country music, rockabilly e blues ha raggiunto un livello eccellente in fatto di grinta e calore interpretativo.
A Hundred Songs è una proposta travolgente e ricca di passione che non faticherà a far entrare i BlueJays tra i nostri beniamini e a far apprezzare ottimi musicisti come il chitarrista solista Jim Lavender, quello ritmico John McLean e la sezione ritmica composta da Jay Murphree al basso e Matt Spaugh alla batteria, questi ultimi due membri fondatori della band.
Il gusto e la capacità di ricercare melodie intriganti e facilmente memorizzabili (tutti i brani sono originali), la freschezza degli arrangiamenti e ottime doti di performer sono le peculiarità essenziali dei BlueJays.
No Reason ha quel feeling ‘swampy’ che ricordano i Creedence mentre
(If You’d) Get Out Of My Waypotrebbe uscire da un album dei
Mavericks per le sue inflessioni latine e l’uso della voce particolarmente modulato, tanto per fare un paio di esempi delle influenze della band georgiana.
L’album è comunque al tempo stesso personale e fortemente legato alla tradizione roots americana e brani come
Back Against The Wall,
A Hundred Songs,
Too Bad,
Play The Rules,
Oh Bekka e
Guess Why I’m Crying sono splendidi esempi di come i
BlueJays riescano sempre a ravvivare un suono che in questi anni ha avuto tanti eccellenti epigoni come per esempio i Derailers e i Two Tons Of Steel. Caldamente raccomandato!