DAN MONTGOMERY (Rosetta, Please (A Love Story))
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  18/12/2006
    

Non ha l'aria di essere un novellino Dan Montgomery. La foto sul retro di copertina ci presenta infatti un artista di mezza età, che dalle note biografiche apprendo essere un musicista dalla lunga gavetta e dalla vita abbastanza tribolata. Nativo di Filadelfia, ha vissuto e suonato per molti anni nell'area della East Coast e in particolare nel New Jersey, facendo anche da spalla per Ben Vaughn (qualcuno se lo ricorda ancora?), prima di trasferirsi definitivamente a Memphis.
A dispetto di tutto ciò, Rosetta Please (A Love Story) è solamente il suo secondo lavoro solista, prodotto proprio nella città del Tennessee con il sostegno del citato Vaughn (ospite alle chitarre) e di alcuni musicisti che affiancano la band di Montgomery (l'ottimo Mike Vesey alle chitarre e steel; Maggie Vesey al basso; Jason Hatcher ai tamburi), lasciando ciascuno un piccolo cameo. Si tratta di nomi di un certo peso sulla scena roots, tra cui Peter Case alle harmony vocals e Duane Jarvis (in passato con Lucinda Williams) al mandolino, che certamente non si sono scomodati senza credere nel progetto. A seguito della buona stampa ricevuta con l'esordio Man From Out of State, Montgomery deve avere preso fiducia e per il nuovo capitolo si è addirittura impegnato in un vero e proprio concept: le nove canzoni seguono di fatto lo svolgersi di una storia d'amore disperata fra un ex carcerato e la sua donna prostituta, volgendo lo sguardo verso i bassifondi della società americana.
Le liriche riflettono la stessa biografia di Montgomery, uscito da un periodo di abusi con la droga ed ora rinato anche dal punto di vista artistico. La musica si adatta a questi contenuti con un roots rock molto diretto (I'll Be the One e Straight, con un bel soffio di armonica, ricordano mille outsiders passati per questa rubrica), anche se non particolarmente personale, che a tratti mi ha ricordato da vicino altri personaggi del sottobosco Americana quali lo stesso Duane Jarvis, o il misconosciuto Richard Ferreira.
Ballate semplici, dalla forte impronta folk (Favorite Colour) alternano un suono elettro-acustico sereno e intimista (Outside, con il viloncello di Jonathan Kirkscey, Long Long Night) con alcune sfumature decisamente più country (Still Want You) e persino soul, una peculiarità dovuta probabilmente agli influssi di Memphis, che compare purtroppo soltanto nel finale con la lunga The Way You Hurt, forse il brano più commovente del disco.