PETE DROGE (Under the Waves )
Discografia border=parole del Pelle

  

  Recensione del  18/12/2006
    

Gli esordi promettenti di Necketie Second, le conferme di Find a Door, le produzioni di Mr. Brendan O'Brien, l'appoggio incondizionato di Mike McCready dei Pearl Jam e delle major discografiche sono soltanto un lontano ricordo per Pete Droge. Da qualche anno a questa parte il songwriter di Seattle vivacchia nel calderone delle produzioni indipendenti, avendo fondato persino una propria etichetta, la Puzzle Tree. È il destino di molti songwriter schiacciati dal ricambio generazionale sempre più frenetico del moderno business musicale.
Un destino che Droge sembrava dividere equamente con i colleghi Shawn Mullins e Matthew Sweet, trio che diede alle stampe qualche anno fa il progetto The Thorns: tutti segnati da una carriera in ritirata, riportavano in auge un rock acustico e fortemente orientato alla West-Coast che tuttavia non avrebbe lasciato un segno tangibile sulle loro carriere. Eppure, mentre i due amici musicisti hanno in qualche modo ritrovato un proprio spazio artistico, anche accasandosi presso etichette indie di un certo spessore e producendo ottimi lavori (Mullins in particolar modo con il recente 9th Ward Pickin' Parlor per la Vanguard), ciò che pone all'angolo Pete Droge è proprio la qualità musicale delle sue ultime uscite. Se già il precedente Skywatching era soltanto una copia sbiadita del frizzante power pop chitarristico degli esordi, opera di possibile transizione verso una maturità cantautorale, il nuovo Under the Waves dimostra sfortunatamente che si tratta piuttosto di una vera crisi di ispirazione.
Undici episodi completamente autoprodotti in cui Droge suona ogni strumento e produce, avvalendosi unicamente dei cori di Elaine Summers e del violoncello di Eyvind Kang. L'esito è sconsolante nell'andamento stanco e medio dei brani, senza un minimo sussulto, una lunga trafila di ballate dai tempi medi, un po' nostalgiche e dai toni crepuscolari che però non decollano in sede di produzione e sound complessivo. Ti aspetti un guizzo di chitarra, una melodia che sappia ricordare il talento degli esordi, ma anche i momenti più vivaci ed elettrici, assai rari in verità, si perdono in un pop rock indefinito e assai debole: Electric Green e Give It All Away vorrebbero riprendere i fili dello stile di Droge, ma sono copie sbiadite, così come il solo nel finale di Calendar Tim resta un momento isolato.
Il resto predilige le tonalità morbide della ballata, salvandosi per il rotto della cuffia in Under the Waves e Going Whichever way The Wind Blows, ma perdendosi definitivamente nelle armonie minimali di Butterfly oppure nei battiti sintetici di Never Learned ed Enough. Si è giocato tutte le chance a disposizione Pete Droge: senza rimpianti andrebbe definitivamente accantonata la possibilità che per lui ritorni una seconda stagione di successi.