Nata come una collaborazione estemporanea, rivolta principalmente ad esaltare le qualità dei singoli autori,
The Band of Heathens si rivela al contrario una piccola sorpresa, proprio per la capacità di superare l'interesse particolare dando vita ad un suono collettivo.
Live at Momo's, frutto di due serate dello scorso marzo in quel di Austin, mette in mostra quattro giovani talenti dell'area texana, senza per questo sacrificare il nome della band alle mire personali dei protagonisti.
Questi ultimi sono una congrega assortita di songwriter dalle estrazioni più disparate, uniti soltanto da una generica predilezione per le tradizioni americane: Colin Brooks è il bluesman della situazione, una resonator guitar che ricorda Chris Whitley ed una voce al catrame; Ed Jurdi un bostoniano in trasferta che delizia con la sua vocalità southern soul; Gordy Quist e Brian Keane i classici esempi di troubadours Made in Texas, cresciuti alla scuola di
Guy Clark e in parte di
Lyle Lovett.
Come vedete un assortimento in grado di spaziare nei solchi dell'american music con una certa apertura mentale. Erano partiti con una scaletta rigorosamente separata, aiutati dal basso di Seth Whitney e dalle percussioni di Eldridge Goins, sono finiti per mischiare le carte e mettersi in gioco, elaborando ciascuno il repertorio dell'altro. Ne sono usciti con un live record frizzante, concettualmente propenso alla jam ma mai prolisso o esasperato tecnicamente: conta il feeling prima di ogni cosa e lo si respira a pieni polmoni nel rock a tinte sudiste e bluesy di
One More Step,
Bumblebee e
No great Mistery, speziate di soul dalle voci di Ed Jurdi e Colin Brooks.
La cadenzata
Jesus 'Scariot Blues, country rock da grandi orizzonti, apre la prima finestra sul texas: è Gordy Quist a prendere il timone, seguito a ruota dal collega Brian Keane, che volge lo sguardo al honky tonk più godereccio con il talkin' di
Odysseus. L'intera combriccola resta coinvolta dalla svolta roots proponendo una corale
Ain't No More Cane, traditional ereditato da Leadbelly.
È la seconda cover della serata in coppia con una rilettura molto singolare, diciamo pure irriconoscibile, di
Anywhere I Lay My head di Tom Waits, trasfigurata in una soul rock ballad di grande eleganza. Chiusa questa parentesi altrui, è tuttavia il repertorio originale a meritare e maggiori attenzioni:
Hangin' Tree ad esempio, oscuro desert blues dove la slide di Brooks alza polvere, il twangin' caratteristico di
Here's To You, firmata da Quist, la deliziosa southern ballad
Keep on Tryin' con Jurdi attore principale alla voce e piano, fino all'encore jammato e trascinante di
Jenny Was a Keeper, ospite l'armonica di Guy Forsyth a tracciare un blues ritmato e sudaticcio, degna chiusura di un'unione artistica che speriamo possa dare altri frutti.