Chi avrebbe mai pensato nel Dicembre 2006 di recensire un disco registrato nel Marzo 1970? Se me lo avessero detto a quel tempo, non ci avrei sicuramente creduto. Eppure dopo avere ascoltato questo concerto di 36 anni fa, non posso che chinare la testa e arrendermi al fatto che questa musica è ancora talmente bella, intensa, creativa che non solo il tempo non la ha minimamente scalfita, ma l'ha lasciata decisamente attuale.
Le lunghe jam di chitarre, le invenzioni di
Neil Young e Danny Whitten, sono talmente attuali, moderne, da rendere incredibile che queste registrazioni abbiano 36 anni. Devo dire che il suono è splendido, ha una resa straordinaria, perfettamente bilanciata in ogni suo particolare e raramente Young ed i Crazy Horse hanno suonato con questa potenza. Basterebbero le due lunghe jam,
Down By the River e
Cowgirl In The Sand, a chiudere il conto. Da sole occupano più della metà del disco, che peraltro non è lunghissimo (poco più di 43 minuti), e danno esattamente l'idea di che musica facevano questi ragazzi all'inizio della loro carriera. I Dead erano già grandi, gli Allman stavano per diventarlo, ma Young ed i Crazy Horse sapevano già arrotare le chitarre, sudare e sputare sangue, e portare un brano a superare tranquillamente i quindici minuti, senza che nessuno sbadigliasse o strabuzzasse gli occhi. Musica creativa, con un tocco di psichedelia forse, ma pura ed incontaminata, con Whitten che dettava i tempi, Neil che suonava in modo devastante, la ritmica sempre puntaule e, dulcis in fundo, il piano di Nitzsche a ricamare note sul fondo. Sei canzoni, 43 minuti.
Ne manca una sola all'appello,
Cinnamon Girl, ma probabilmente i master non erano di qualità, almeno non della qualità di questo disco. Young aveva pubblicato, l'anno prima,
Everybody Knows This Is Nowhere, ed il disco aveva avuto successo ed aveva gettato le fondamenta per la solida amicizia /collaborazione tra il solitario canadese e la band del cavallo pazzo.
E, solo qualche mese dopo, eccoli in tour negli Usa e le date del 6 e 7 Marzo a New York sono le due più importanti. La Reprise decide di registrarle per un eventuale doppio dal vivo (poi abortito) ed ecco perché oggi possiamo ascoltare quei concerti (o parte di essi) con un suono splendido. Young ed i Crazy Horse suonano due (anzi quattro, a quei tempi si facevano due show al giorno: uno nel tardo pomeriggio, l'altro di sera) spettacoli selvaggi e coinvolgenti e la gente non sta più nella pelle. La band si presenta nella sua formazione tipo: Neil Young, chitarra e voce, Danny Whitten, chitarra e voce, Jack Nitzsche, piano elettrico, Billy Talbot, basso, Ralph Molina, batteria.
Il suono è rock, potente e disossato, senza mezzi termini, diretto come un pugno in faccia. Young ed i suoi ragazzi si presentano con
Everybody Knows This is Nowhere, proseguono con la bella
Winterlong, ballata registrata in quel periodo ma apparsa poi solo su
Decade, alcuni anni dopo, e sfondano le mura del teatro con i dodici minuti abbondanti di
Down By The River, chitarre che si incrociano, cambi di tempo, continue improvvisazioni, senza mai abbassare lo sguardo, tesi come delle lame. Come on
Baby Let's Go Downtown, di Whitten, è una composizione alla Cinnamon Girl, disincanta, allegra, diretta ;
Wonderin' è semplice come un bicchiere d'acqua, molto orecchiabile. Ma è con
Cowgirl in the Sand che il disco, il concerto, raggiungono il momento più alto. Sedici minuti di duelli chitarristici con basso e batteria ancora più tosti.
Whitten fa la ritmica, Young è il solista, ma i tempi li detta Whitten ed a questo punto si capisce che quei Crazy Horse sono stati i migliori Crazy Horse, con tutto il rispetto di quelli che hanno suonato dopo Whitten. Una canzone dal suono devastante che ti avviluppa, ti coinvolge, ti porta nei meandri di una serie di note torride e fluide al tempo stesso. Con le corde che vibrano e le chitarre che urlano, momenti di tensione in superficie, mentre sotto basso e batteria pompano.
Young è lirico, il suo fraseggio è dannamente creativo, Whitten taglia a pezzi la canzone, confonde e cambia i registrati, ma poi tutto torna a suonare alla grande, come un fiume in piena e rimaniamo storditi, basiti, colpiti dritto al cuore. Non riusciamo a muovere un muscolo, la musica scorre e entra nel nostro sistema immunitario, ci colpisce nel profondo. Raramente ho ascoltato brani di questa potenza, devastante è dire poco, e se penso che vengono da una registrazione con più di trenta anni sulle spalle mi giro e mi ripeto che il rock, quello vero, è ancora tra noi. Non solo non è morto, ma ha voglia di vivere. E vive alla grande. Dio benedica
Neil Young ed i
Crazy Horse.