Lo scorso settembre mi trovavo ad Austin, nel Texas, per il tradizionale appuntamento del mese con l'Austin City Limits Festival. Alla fine della seconda giornata con concerti dalla prima mattina alla tarda serata, ho preferito recarmi al Threadgilli's, locale a 5 minuti dal centro, che nel suo bel giardino spazioso ospitava gli strambi Ugly Americans and the Scabs con la compagnia del singer/songwriter
Bob Schneider.
Da quelle parti è parecchio conosciuto e i suoi 4-5 dischi precedenti hanno sempre destato interesse e riconoscimenti dalla critica del luogo, ma personalmente non mi era ancora capitato di ascoltarlo. Questa era l'occasione giusta, specialmente perchè presentava questa sua ultima fatica
The Californian, dove il sound è più rock dei lavori precedenti ed è balzato subito in classifica nei primi posti. Lui è un tipo parecchio strano: gli piace divertirsi insieme a boogie-band con influenze punk, o improvvisando serata a sfondo jazz anche se il suo amore è per un rock duro da pochi fronzoli, diretto e rumoroso.
Questo disco è il frutto di 4 giornate al Jack's Rock Studio di Austin, per 14 canzoni che dovevano comporre inizialmente un doppio cd, ma la sua amica Alexandra Valenti dopo averlo ascoltato, gli ha consigliato di rinunciare a quest'idea che il risultato era perfetto. Così il concerto inizia tra uno strano modo di suonare country, quasi jazzato, un combo davvero poco godibile: lui finalmente si porta al centro del palco e decide di iniziare a presentare l'album:
Holding in the world, brano d'apertura anche del cd, è una sferzata rock bella corposa e per niente banale. La folla attorno a me sobbalza alle sue note, e francamente il suo sound è piacevole: si continua tra
Party at the Neighbors batteria cadenzata al suo ritmo vocale e chitarre spedite con un coretto insistente e orecchiabile che ti entra subito in circolo, la bella
Miss oblivion tra le cose migliori dell'album, un gran pezzo rock e momenti più morbidi
Flowerparts, dalla bella melodia dove Schneider dimostra di essere un bravo songwriter.
Si diverte a mischiare al rock, leggeri intro pop con l'uso di cori che forse a molti piaceranno poco e brani quasi parlati,
Mix it up, Superpowers, Everything i have means nothing to me now ad esempio, che lasciano qualche dubbio. Molto meglio la parte finale con
Boombox e la title-track che evidenziano la parte migliore del rock di Schneider e anche
Mudhouse che rappresenta invece bene l'indole stramba che lo attornia.
P.s. Per la cronaca suonerà per circa due ore, mischiando un po' di tutto, ma il risultato è stato davvero interessante, da convincermi a comprare il suo cd (usato a 5 dollari), ma ne è valsa la pena.