David Munyon è uno straordinario singer-songwriter di Midland City, Alabama. Un tradizionale cantastorie, un pensatore o filosofo mettetela come volete, insomma uno che negli anni ha costruito la sua fama basata su canzoni semplici, cercando di capire il mondo che lo circondava che non sempre ricorda il Paradiso. Il suo stile poetico risalta tra una semplice strumentazione fatta di chitarre acustiche o al pianoforte, di chi suona soltanto per potersi comprare del cibo, o i vestiti che indossa con testi che parlano della vita della gente, della povertà, delle loro amarezze, di gente che di certo non viene da riviste alla moda o dai magazine patinati. Pe me è uno di quei artisti che fanno vera musica, facilmente comparabili a gente come Townes Van Zandt, Woody Guthrie.
La sua vita è trascorsa nel profondo sud dei coffe-shop di Nashville, tra l'Alabama e la Georgia, in giro per il mondo fino a rientrare nel suo paese dopo le disillusioni della guerra del Vietnam, i traumi e i seri problemi di alcohol. Ha abbracciato allora la sua chitarra e ha inciso canzoni meravigliose, girando per la California e riuscendo a incidere questo album di debutto chiamato
Code Name: Jumper. Prodotto dal suo amico Greg Humphrey che grazie alle sue conoscenze ha messo su una band di tutto rispetto al suo seguito: Warren Haynes, Matt Rollings, Leland Sklar, Sneaky Pete, Al Perkins. Ottimo il risultato che ne viene fuori tra l'elettro-acustico e rock ballads, come traspare dall'iniziale
Maybe over the border, dal piglio più elettrico con le chitarre incisive tra la voce molto bella di Munyon o quando la ballata si fa più dolce nella successiva e splendida
On the other side of Harlem con la chitarra elettrica ad accompagnare una canzone cantata da Munyon in modo divino e che vale da sola il disco.
Il ritmo pervade anche le atmosfere soffuse di
Beijing dreams, cantata sempre con voce cadenzata del nostro, a tratti quasi parlata ma che cresce all'entrare della batteria e delle chitarre o in
Stealer of Hearts. Canzoni piene di pathos, struggenti, da vero cantastorie seguono di pari passo come dimostrano l'acustica
Everyday american hero e le meravigliose
Earls songs e
Me and this old suitcase, due canzoni che una volta ascoltate non vi lasceranno indiferrenti, dotate di quel fascino che solo cantanti come Munyon possono dare: melodia affascinante, batteria morbida e chitarre acustiche che girano intorno alla sua voce che più bella non si puo'. A concludere un disco meraviglioso, il ricordo del Vietnam in
Lost one, this is lost three, are you lost too? e
Hey Benny, altra ballata di una bellezza cristallina.