JOHN DOE (For the Best of Us)
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  Recensione del  17/11/2006
    

Nel periodo d'oro del Grunge sono state molte le paternità del genere rivendicate più o meno direttamente dai vecchi leoni del rock, primo tra tutti quel Neil Young che, dopo essersi portato in tour i Sonic Youth, fece più volte da padrino ai Pearl Jam. Il sound di Seattle e i suoi derivati, riportando in primo piano la chitarra dopo un decennio di sintetizzatori e drum-machines, resero un bel servizio a tutti rivitalizzando molti artisti che negli anni '80 se l'erano passata maluccio. La storia vuole che gli X, che sicuramente avevano parecchie credenziali per assumersi responsabilità sul suono di molte band di inizio anni novanta, sprecarono l'occasione con un pessimo disco come Hey Zeus del 1993.
Il cantante del gruppo John Doe, che, dopo un promettente esordio di sapore molto rootsy come Meet John Doe, si era perso nei meandri di contratti discografici mai rispettati, ci riprovò nel 1996 organizzando una session con un gruppo di musicisti scelti "ad hoc". Erano presenti il chitarrista di Beck (ma sentito anche con Tom Waits) Smokey Hormel, il batterista Joey Waronker (Beck, Rem e successivamente membro degli Spain) e il bassista Tony Marsico (Matthew Sweet), ribattezzati The John Doe Thing per l'occasione. Ne uscì un ep di 5 brani edito nel 1998 col titolo di For The Rest Of Us, da tempo ormai introvabile, ma che ora lo stesso Doe ha voluto ripubblicare con l'aggiunta di altri 5 brani e con un titolo di poco corretto.
Probabilmente se fosse uscito in questa versione direttamente nel 1996 il disco avrebbe avuto il suo impatto, e probabilmente This Loving Thing, il brano scritto con Dave Grohl (Nirvana e Foo Fighters), avrebbe potuto anche essere un singolo abbastanza alla moda. Così non fu, ed è evidente che ascoltato oggi For The Best Of Us rappresenti un tentativo non completamente riuscito di impadronirsi del linguaggio di un genere tra l'altro già in fase calante. Impossibile da una parte rimanere indifferenti ad un brano di grande spessore come Criminal, ma si prova un certo imbarazzo davanti ai cacofonici urli di Bad, Bad Feeling, degni di una band di liceali a caccia di una nota sul registro.
Nelle note di copertina Doe giustifica il tutto con l'intento di creare "something true" ed è innegabile che anche in episodi come Let's Get Lost o la bella cover di Vigilante Man di Woody Guthrie ci sia pienamente riuscito, ma purtroppo non riesce a togliere completamente il dubbio che dietro tutto ciò non ci sia anche la ricerca di "something saleable". Resta comunque un bel documento per i collezionisti, ma forse per poter parlare ancora di lui con lo stesso entusiasmo di un tempo è meglio aspettare di capire se il seguito di Forever Hasn't Happened Yet del 2005 saprà smussare quelle spigolature che ancora gli impediscono di avere un disco da 4 stellette nella sua discografia solista.