Comincia ad essere chiara una questione, almeno restando alle conclusioni "statistiche" di questa nostra piccola rubrica: in fatto di suoni polverosi e intrecci fra radici e rock'n'roll i canadesi iniziano a dare la paga agli amati-odiati vicini americani. Che sia il caso di coniare un nuovo termine, "Canadiana"? Davvero non si può fare a meno di constatare la sensibilità con cui i
Loomer da Toronto approcciano un linguaggio che avrebbe forse detto molto o tutto, senza per questo far scadere la forza compelssiva delle loro canzoni. Le suddette appariranno senz'altro "normali", accodate alle regole del genre, ma irrimediabilmente belle.
Songs of the Wild West Island aggiunge quella personalità che in sede di recensione del loro esordio,
Love is a Dull Instrument, non avevamo trovato pienamente compiuta.
Oggi invece, con i fantasmi di Wilco, Whiskeytown e Jayhawks alle spalle e, nonostante tutto, con il rispetto delle proprie fonti di ispirazioni, le ballate di Scott Loomer, vocalist ed autore dietro cui si nasconde la ragione sociale della band, si sono prese quella doverosa presunzione che meritano. Giocando sulla formula collaudata fra chitarre elettriche (ci sono anche quelle di Andrew Lindsay e Brian Duguay), strumentazione roots (banjo e mandolino) e pedal steel (l'ospite Jim Whitford), i
Loomer evitano tuttavia di infilarsi in un vicolo cieco, studiando con cura armonie vocali e melodie, a partire dal trittico iniziale formato da
Bang The Nails,
Anastasia e
Caramel Heart.
Fra chiare reminiscenze country rock ed uno scintillare elettrico degno dei Byrds (specie nella seconda traccia), la musica della band aggiunge la cifra personale della voce di Scott Loomer, indolente al punto giusto, e dell'organo di Mike Taylor, elemento essenziale in molti frangenti. Eccellono soprattutto nelle tonalità morbide di
Burden Of Proof e
Turnbuckle, uno sventagliare elettro-acustico che mostra il gusto di questi musicisti, nella crepuscolare e sabbiosa
Paper Doll, in ballate quali la dolcissima
Only Lovers, cantata in coppia con la folksinger Sarah Harmer, oppure la conclusiva
Endless Holiday, pigra nenia per steel e pianoforte. Da rimarcare le reminiscenze alternative country di (
Old Grey Ford, Pull Me In o la dura marcia cow punk di
Dirt Angel) che restano senz'altro piacevoli dimostrazioni di talento compositivo, superiori comunque alla media delle proposte dei colleghi.