TOM WAITS (Orphans)
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  Recensione del  15/11/2006


    

Un'opera monumentale. Orphans. 3 CD, 56 canzoni, 30 nuove, 26 tratte da colonne sonore, tributi, partecipazioni. Tre CD, ognuno con un titolo: Bawlers, Brawlers, Bastards.
Ognuno con un contenuto quasi tematico.
Brawlers: blues rauchi, sofferti e sudati, boogie, juke joint blues, musica notturna da locale di terz'ordine.
Bawlers: ballate, musica celtica, valzer retro, ninne nanne, pezzi malinconici, canzoni tenere ed innocenti, ballate amare.
Bastards: racconti strani, storie distorte, musica sperimentale ma anche canzoni struggenti: la parte più strana e meno usuale della musica di Waits.
Il microcosmo di Tom Waits, la sua intera carriera, passata al setaccio in 56 canzoni. Tre ore di musica, da ascoltare con religiosa attenzione, dove l'artista non lascia nulla al caso. Ci sono voluti tre anni per registare le nuove canzoni ed assemblare il vecchio materiale. Ovviamente per spiazzare il recensore, ma anche l'ascoltatore, Waits ha mischiato vecchio e nuovo, creando degli squilibri voluti. Ad un brano nuovo ne segue uno vecchio, cambia anche il timbro della voce, oltre al suono: oppure ci sono tre canzoni nuove, una vecchia, due nuove, tre vecchie. Alcune delle canzoni già conosciute sono state riincise, tanto per creare più confusione.
Ma lui rimane quello che è, un'icona della musica, un personaggio al di sopra di tutto e di tutti. L'unico che non concede nulla, neppure a sé stesso. Non scende a compromessi, non accetta consigli, non vuole che la sua musica venga usata per scopi reconditi. Non vuole vedere i suoi CD in edicola, non vuole vedere svilita la sua musica. Ed ha ragione su tutta la linea. Orphans (ndr: Tom, quando l'ho intervistato nel 2002, mi aveva anticipato questo titolo, quando gli avevo domandato se non aveva intenzione di riunire le canzoni che aveva disseminato in varie colonne sonore, collaborazioni, partecipazioni) è un'opera consistente che alterna momenti di assoluto piacere ad altri di maggiore impegno, grandi canzoni a pura sperimentazione.
Prevale la sua vena lirica, che occupa un intero disco ma anche parti degli altri due (Bottom of the World, che sta su Brawlers, è una canzone straordinaria, come pure, sempre sullo stesso CD la versione di Rains On Me, strascicata e possente ballad scritta a quattro mani con quel pazzo di Chuck E Weiss, oppure Home I'll Never Be e Altar Boy su Bastards). Certo che quando Tom fa il balladeer non si può resistere.
Bawlers. Canzoni come Long Way Home (dal film Big Bad Love), Fannin Street (era sul disco di John Hammond, Wicked Grin, ma che differenza tra questa versione e quella di Hammond, che cascata di emozioni mi da la voce rauca di Tom), It's Over, Louise (dal disco tributo a Ramblin ' Jack Elliott), Goodnight Irene (favolosa rilettura del classico di Leadbelly, da brividi), Take Care of All My Children, Young At Heart (impossibile cover di un successo degli anni cinquanta di Frank Sinatra) (ndr: Tom ama Sinatra, uno dei suoi dischi favoriti è il concept In the Wee Small Hours) o lo struggente valzer Widow's Grove, sono colpi inferti al cuore che ucciderebbero chiunque.
Bawlers è da cinque stelle, su questo non ci piove. Ci sono cuore ed emozioni vere, canzoni straordinarie e ripescaggi incredibili, brani alla Kurt Weill come Little Drop of Poison, ballate scarne e toccanti come Shiny Things, romanticherie antibelliche come World Keeps Turning. Waits sa cantare, sa toccare il cuore: sentite l'acustica Tell it To Me (che poi è Louise di Paul Siebel), oppure il valzerone nostalgico Never Let Go. Altra perla è la tristissima Little Man mentre Down There by The Train l'abbiamo già sentita (Johnny Cash, American Recordings, 1994). It's Over è notturna, fumosa, bluesata. Waits va a nozze con questo materiale, ha la voce, sa dosare humor ed emozioni, è un maestro.
Brawlers si apre con uno svitato rockabilly, Lie To Me, Low Down è un bluesaccio elettrico potente (con il figlio Casey alla batteria ed il chitarrista blues di San Francisco Ron Hacker all'elettrica) mentre 2.19 (già sul disco di Hammond) mischia Memphis con il Delta. Bottom of The World è una ballata straordinaria che arriva quasi a sei minuti: gran voce, strumentazione normale, emozioni a catena. L'artista non si smentisce. Lucinda sembra un blues cantato dai prigionieri (di colore) nelle miniere, mentre Ain't Going Down To The Well, con un'armonica alle spalle, scende nelle viscere del blues. Lord I've Been Changed è un gospel, teso e vibrante, cantato con passione e cuore, mentre Puttin' Dog lascia fuoriuscire tutto il viscerale amore che il nostro ha per il blues. La sua rilettura è rigorosa e l'armonica in primo piano.
Nelle sedici canzoni che compongono questo CD c'è, anche Sea of Love, un veccio hit dei cinquanta (reso nuovamente celebre da Robert Plant con gli Honeydrippers, ma l'originale è di Phil Phillips) che Tom aveva interpretato nell'omonimo film con Al Pacino (regia di Harold Becker) alla fine degli anni ottanta. The Return of Jackie and Judy è un blues elettrico sconquassato, ma teso come una lama, mentre Walk Away è notturna, suonata in punta di dita e decisamente godibile. Chiude il CD la bella Rains on Me.
Naturalmente Sea of Love non è l'unica cover, c'è quella di Siebel ma anche brani di Leadbelly, Daniel Johnston, Jack Kerouac, Ramones, Kurt Weill, Bertolt Brecht etc. Bastards è il più ostico dei tre. Capisco che molti rifiutino il Waits più difficile. Ma, se gli date tempo e lo risentite con pazienza, vi piacerà anche questo suo lato meno diretto e fruibile. Dischi come Bone Machine, Real Gone e, perché no, Mule Variations sono cresciuti moltissimo nel tempo. Lo stesso dicasi per questa raccolta di brani struggenti ed astratti. What Keeps Makind Alive (che Tom aveva interpretato su Lost in The Stars, il tributo a Kurt Weill), viene seguita da un racconto interiore, recitato, come Children's Story. Heigh Ho è la rilettura astratta del canto dei sette nani, come Tom la ha interpretata sul geniale tributo a Disney (Stay Awake), mentre Army Ants è uno spoken blues, scivoloso e infingardo.
Books of Moses sembra uscita da Colossal Head dei Los Lobos, mentre Two Sisters è una splendida ballata irlandese, malinconica e tristissima, che il nostro esegue con il solo accompagnamento di una fisarmonichetta. First Kiss è obliqua e scombinata, ma che voce (da brividi), Dog Door è elettrica e rumoristica (qui la voce è quasi un effetto sonoro). Il disco prosegue con queste alterazioni sonore, mischiando brani normali ad altri più strambi: Nirvana è parlata, ma Home I'll Never Be è una splendida ballata voce e piano, come il nostro sa fare, un pezzo da novanta. Anche Poor Little Lamb, triste e prebellica, mantiene alta la tensione, poi le campane aprono Altar Boy, altra bella canzone venata di blues e profondamente triste.
Bastards è meno difficile di quello che si possa pensare e si chiude con le bizzarra The Pontiac, la rumoristica King Kong (sempre a base blues, il brano è di Daniel Johnston) e On the Road (Kerouac, in the Waits way) Ci sono due ghost tracks. La prima è dal vivo, un racconto alcolico con il piano dietro alla voce, una vecchia registrazione, e poi un racconto di periferia (I was in the Supermarket the Other Day), recitata con voce spessa, un vecchio racconto di Bukowski. Orphans è un'opera complessa, di straordinaria suggestione, presentata in una superba confezione con un libro di 94 pagine fatto a mano, con tutte le liriche e foto rare.
Quello che salta agli occhi di primo acchito sono l'eclettica visione della musica, la poliedricità artistica, la metamorfosi vocale. Il sapere fare ballate e blues, affrontare temi jazz o la pura decacofonia, scrivere melodie straordinarie e colpire l'ascoltatore nel profondo, non è una cosa che sanno fare tutti. Waits è uno degli artisti più importanti del secolo appena trascorso, non sono certo io a dirlo, lo hanno scritto in molti e Orphans è un'opera di grande valore. Uno dei dischi più importanti di quest'anno.