STAR ROOM BOYS (This World just Won’t Leave you Alone)
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  Recensione del  26/02/2004
    

Gli Star Room Boys sono un quintetto di musicisti provenienti da Athens, Geòrgia (la patria dei R.E.M.), insieme dal lontano 1995, ed artefici di un buon debutto nel 1999 con Why do lonely men and women want to break each others' hearts? (bel titolo). Il leader, sia dal punto di vista del canto che da quello della composizione, è Dave Marr, coadiuvato da Philip McArdle alle chitarre, John McMahon al basso, Johnny Neff alla steel guitar (uno degli strumenti protagonisti), e Bob Fernandez alla batteria; la musica è country classico, con una spiccata predilezione per le ballate crepuscolari alla Gram Parsons (e la somiglianzà tra la voce di Marr e quella dello sfortunato cantautore è impressionante), un po' di rock e qualche addentellato con la musica del Sud. This world just won't leave you alone è quindi un bel disco di americana, un passo avanti rispetto al già positivo esordio, senza alcun brano sottotono e con una band che mostra una buona dose di personalità.
Musica sana, ben eseguita, senza inutili virtuosismi di sorta, ma con onestà e feeling: in più Marr, oltre che avere una voce espressiva, è dotato anche di una buona penna. White lies, blue fears è una country ballad con riminiscenze californiane, una melodia nostalgica, echi dei Burrito Brothers ed un bel lavoro di steel. La voce calda di Marr ci introduce a If i can everget it back again, ballata dai toni autunnali e dalle sonorità western, mentre Whiskey and you è un classico slow alla Gorge Jones, con un accompagnamento di prim'ordine ed il solito cantato molto espressivo. I can't stand to be alone è un intenso honky tonk d'altri tempi, con tanto di yodel finale: colpisce in particolar modo la padronanza vocale del leader e la bravura dei suoi Boys nel proporre al meglio sonorità classiche senza scadere nel derivativo e nel risaputo.
Cocaine parties è un altro fluido brano dal passo lento e dall'impronta parsoniana; "The daydreamer" aumenta di molto il ritmo, e ricorda certe cose dello scomparso Waylon Jennings; con When i'm all the way down la band si rituffa nei toni crepuscolari e cantautorali, quasi un marchio di fabbrica per Marr e soci. Il disco è molto compatto e si ascolta tutto d'un fiato, senza cedimenti di sorta: The 4:05 ha dalla sua una melodia molto gradevole, la limpida. I'll play angel ha dei buoni assoli di steel e chitarra elettrica, Time ricorda certe ballate cristalline di Willie Nelson. La rarefatta title track chiude un disco più che positivo; già sapevamo che Athens era una bella fucina di talenti, ed ora con gli Star Room Boys abbiamo avuto una ulteriore conferma.