DEL FUEGOS (Boston, Mass.)
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  Recensione del  01/11/2004
    

Erano tempi in cui sulla spinta del successo planetario di Springsteen il rock a stelle e strisce poteva permettersi di giocare in prima linea e di mandare allo sbaraglio anche i gruppi più giovani: i Del Fuegos dei fratelli Dan e Warren Zanes avevano già esordito nel 1984 con “The longest day”, ma fu con questo disco che si guadagnarono uno spazio tutto loro nella memoria di molti appassionati di rock. Rispetto a quelli che erano i punti di riferimento dell’epoca (Springsteen, John Cougar Mellencamp, Tom Petty ecc.) i Del Fuegos avevano un approccio più garage: provenivano da Boston ma suonavano sfrontati, senza troppe menate e liberi da mainstream, blue-collar o che dir si voglia.
I loro pezzi erano intrisi di soul e di r&b, ma soprattutto avevano una forza selvaggia, tipica del vero rock’n’roll: “Boston, Mass.” è da ricordare perché nel giro di trentasei minuti riassume quello che vorremmo sentirci dire dal rock senza andare alla ricerca di grandi verità. Tutto potrebbe essere racchiuso in un titolo come “Don’t run wild” oppure in quel “I tried so hard” che segna il crescendo ruvido e chitarroso di “I still want you”, ma, per quanto si tratti di una manciata di pezzi che si ascoltano di slancio, “Boston, Mass.” è anche un album molto lavorato.
Prodotto da Mitchell Froom, è perfettamente bilanciato tra pezzi che girano a mille come “Hand in hand” e ballate che prendono un soul oscuro come “Night on the town”: i pezzi rock sono tirati da chitarre, batteria basso e organo, mentre le tracce più lente crescono su vocals che costituiscono un corpo notturno, derelitto. I Del Fuegos erano capaci di lanciarsi in giri hard-rock senza calcare la mano, come in “Sound of our town”, o di buttarsi in attacchi a testa bassa come in “It’s alright” e in “Shame” senza perdere il controllo, anzi sciorinando interventi di slide o assoli perfettamente collocati come quello di “Hold us down”. Solo con “Smoking in the fields” nel 1989 riuscirono a ritrovare smalto per poi sciogliersi definitivamente. Se vi capita di andare a (ri)ascoltarlo, ricordatevi che “Boston, Mass.” è uno di quei dischi per cui vale l’imperativo: “Play this record loud!”.