Erano tempi in cui sulla spinta del successo planetario di Springsteen il rock a stelle e strisce poteva permettersi di giocare in prima linea e di mandare allo sbaraglio anche i gruppi più giovani: i
Del Fuegos dei fratelli
Dan e Warren Zanes avevano già esordito nel 1984 con “
The longest day”, ma fu con questo disco che si guadagnarono uno spazio tutto loro nella memoria di molti appassionati di rock. Rispetto a quelli che erano i punti di riferimento dell’epoca (Springsteen, John Cougar Mellencamp, Tom Petty ecc.) i Del Fuegos avevano un approccio più garage: provenivano da Boston ma suonavano sfrontati, senza troppe menate e liberi da mainstream, blue-collar o che dir si voglia.
I loro pezzi erano intrisi di soul e di r&b, ma soprattutto avevano una forza selvaggia, tipica del vero rock’n’roll: “
Boston, Mass.” è da ricordare perché nel giro di trentasei minuti riassume quello che vorremmo sentirci dire dal rock senza andare alla ricerca di grandi verità. Tutto potrebbe essere racchiuso in un titolo come “
Don’t run wild” oppure in quel “
I tried so hard” che segna il crescendo ruvido e chitarroso di “
I still want you”, ma, per quanto si tratti di una manciata di pezzi che si ascoltano di slancio, “
Boston, Mass.” è anche un album molto lavorato.
Prodotto da Mitchell Froom, è perfettamente bilanciato tra pezzi che girano a mille come “
Hand in hand” e ballate che prendono un soul oscuro come “
Night on the town”: i pezzi rock sono tirati da chitarre, batteria basso e organo, mentre le tracce più lente crescono su vocals che costituiscono un corpo notturno, derelitto. I
Del Fuegos erano capaci di lanciarsi in giri hard-rock senza calcare la mano, come in “
Sound of our town”, o di buttarsi in attacchi a testa bassa come in “
It’s alright” e in “
Shame” senza perdere il controllo, anzi sciorinando interventi di slide o assoli perfettamente collocati come quello di “
Hold us down”. Solo con “
Smoking in the fields” nel 1989 riuscirono a ritrovare smalto per poi sciogliersi definitivamente. Se vi capita di andare a (ri)ascoltarlo, ricordatevi che “
Boston, Mass.” è uno di quei dischi per cui vale l’imperativo: “Play this record loud!”.