JOHNNY CASH (Unchained)
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  Recensione del  31/01/2004
    

È uno dei suoi ultimi album questo Unchained datato 1996 perciò è un album partorito durante quella crescita esponenziale che la musica country ha avuto negli anni novanta, gli anni del fenomeno Garth Brooks. Ma se contemporaneamente il new country finisce spesso per sconfinare verso il rock o il pop, Johnny Cash continuava a cantare il suo country come se il tempo si fosse fermato, fedele al suo sound e alle sue tradizioni musicali.
Certo qualche elemento nuovo c’è, per esempio la country-rock-blues Rusty Cage che riportò Johnny anche all’attenzione dei più giovani. Troviamo anche qualche elemento folk, al quale per la verità lui non è nuovo, in brani come Southern Accents o Rowboat. Il resto è più o meno all’insegna del suo tipico ritmo bum chika bum ad esclusione delle ballate più lente e a qualche pezzo che ricorda il suo passato rockabilly.
I testi come solitamente avviene nei suoi albums sono vicini a quelle condizioni sociali non felici e non rare in molte aree del sud degli States, che sono tra l’altro le radici dalle quali lui stesso proviene. Brani come Country Boy e I Never Picked Cotton sembrano degli spaccati della sua vita; la povertà in cui versa un ragazzo di campagna la condizione diseredata dei poveri contadini del sud, la voglia di fuggire da tutto questo e allo stesso tempo l’amore per la propria cultura e le proprie tradizioni sono raccontate con toccante consapevolezza.
In fine la voce, non ancora intaccata dalla malattia che lo ha ora portato via, è ancora ferma e profonda ed ancora in grado di dare alle sue canzoni quel tocco personale che lo hanno contraddistinto fin dai suoi esordi.