Gli anni ’90 sono stati il periodo della rinascita del rock dopo il decennio buio. Se le band di Seattle avevano riportato all’attenzione del grande pubblico un rock dai tratti molto hard come il grunge, le band e gli artisti del sud si erano preoccupati di far rivivere il grande spirito del southern rock. Molti sono stati coloro i quali hanno contribuito a questa rinascita (attenzione si parla di southern non nell’eccezione musicale degli anni ’60 ma di spirito e tradizione sudista), Steve Earle, John Hiatt, Sonny Landreth la rinata Allman Brothers Band con il fenomenale Warren Haynes, Anders Osborne e soprattutto i
Black Crowes.
La band dei fratelli
Chris e Rich Robinson , rispettivamente voce e chitarra, con l’improvviso successo del loro debut
Shake Your Money Maker (1990) ha fatto riaccendere i riflettori sul rock sudista. Il gruppo di Atlanta in quell’occasione ci presenta un rock molto più vicino a quello degli Stones di Exile che a quello di Lynyrd Skynyrd e ABB ma tanto basta per far parlare di rinascita del southern; cosa che avviene a pieno con il successivo “
Southern Harmony and Musical Companion” (1992): in queste 10 tracce si respira forte l’anima sudista della band con numerosi richiami al blues, al gospel, alla psichedelia ai suoni di New Orleans e alle grandi band sudiste dei sixties.
Ad aprire questo piccolo gioiello ci pensa “
Sting Me” una grandissima rock song di quelle che profumano di whisky e palude lontano un miglio; l’intro di chitarra seguito da un battito di mani che segna il tempo, i cori femminili e la voce roca e tagliente di Chris, sostenuta dai cori che fanno il controcanto, sono un verro inno alla loro terra così come lo è l’assolo pungente di Rich.
Adrenalina pura per far capire subito di che pasta sono fatti i corvi neri. Nemmeno il tempo di rifiatare ed ecco giungere “
Remedy” ancora una rockatissima song dal marchi r&b con piano (Ed Hawrysch) e cori, il solito Chris scatenato alla voce e i rif taglienti come lame di rasoio del fratello Rich. “
Thorn in My Pride” segnata dal wurlitzer è una evocativa ballata tra country, rock e blues dotata di un grande finale in crescendo segnato dalla slide elettrica di Rich e dal piano di chiara matrice honky tonk che nella parte conclusiva trasforma la canzone in una ballata R&B con New Orleans nel sangue. “
Bad Luck Blue Eyes Goodbye” è una classica rock ballad di quelle che hanno fatto la fortuna degli Aerosmith ma con un tocco soul in più e il solito grande finale in crescendo. Con “
Sometimes Salvation” si ripropone lo stesso schema della canzone precedente, una sorta di marchio di fabbrica della band, che regala emozioni in quantità industriale. “
Hotel Illness” è invece una superba canzone rock-blues con l’armonica di Chris a graffiare l’aria e a richiamare a gran voce Mick Jagger e soci con tanto di dobro in sottofondo. Brano a dir poco irresistibile con una carica e un tiro davvero degno dei migliori Stones. “
Black Moon Creeping” è ancora più bluesy della precedente ma sempre con quell’anima soul presente in tutti i brani dei corvi; ancora l’armonica sugli scudi ma si apprezza anche il bel lavoro all’hammond e la slide. Sempre efficacissimi i cori, altra prerogativa della band. “
No Speak No Slave”si riporta su coordinate più rock oriented ma sempre con la madre terra nel DNA, il ritmo e l’energia sono quelli dei migliori Lynyrd Skynyrd, altra grande influenza del gruppo; sempre grandiosi gli urlacci di Chris e le evoluzioni citaristiche di Rich. La successiva “
My Morning Song” è una classica Black Crowes song, una di quelle canzoni che sembrano fatte apposta per essere eseguite dal vivo tale è la loro predisposizione a prestarsi alle jam.
Cori continui, assoli lancinanti il drumming solido e martellante e quel piano honky tonk così caratteristico, e la solita spruzzata di soul, sono gli elementi per un sound travolgente che in questa canzone raggiunge il suo livello più alto; oltre 6 minuti di grandissima southern music. Il disco si chiude con l’unica cover presente “
Time Will Tell” di Bob Marley (da Kaya), eseguita in chiave acustica con le conga, nelle mani dei corvi neri una straordinaria canzone reggae diventa un magnifico inno sudista, degna chiusura di un disco strepitoso; un lavoro senza punti deboli e sicuramente uno dei dischi Rock (con la R maiuscola) migliori di tutto il decennio scorso.