Steve Azar è cresciuto a Greenville tra l'Arkansas e la Lousiana, ed il suo amore per la musica è iniziato presto all'età di 5 cinque anni cantando per casa e sua madre è stata costretta a comprargli una chitarra invece di un camioncino o di un classico triciclo. La sua strada preferita è sempre stata quella on the road a suonare dovunque gli capitava, tralasciando anche gli studi universitari spostandosi poi a Nashville nel 1993 e ottenendo un contratto con la River North Records riuscendo a pubblicare un primo album
Heartbreak Town, dopodichè è fallita.
Ma Azar ha continuato a girare e suonare riuscendo ad ottenere un secondo contratto che gli ha permesso di incidere questo
Waitin' on Joe ed ottenendo un bel tornaconto dal pubblico. La sua musica è fatta di ballate rock semplici e dirette pervase da basi roots-rock decisamente alla Texana non banali e per niente vicine al sound di Nashville.
I Don't have to be me ('Til Monday) e How Long is this time gonna be ne sono una bella sorpresa appena il cd inizia a ruotare nel lettore e lascia diffondere decise ballate rock imperniate di chitarre che prendeno subito al primo ascolto.
Il roots sound viene fuori decisamente nella splendida
Damn the Money: chitarra acustica e intro con voce decisa e siamo in texas... poi entrano batteria e chitarre e la canzone cresce e il refrain diventa irresistibile e i piedi si muovono da soli.
Un brano che vale il disco. La title track che segue è una ballatona più dalle parti di Nashville, un po' troppo mielosa con l'uso degli archi ma un armonica leggera ne salva comunque la faccia. Ma la strada maestra si riprende con
The Underdog ed è un'altra ballata rock decisa e dal suond diretto,
One good reason why è invece più roots e mostra le qualità di Azar portato ad amalgamare l'elettrico delle chitarre alla melodia e al ritmo cadenzato dalla sua voce bella e lineare. Chiude un disco riuscito un'altra canzone sopra la media, la blueseggiante
Goin' to beat the evil (to see my angel tonight. Una bella sorpresa.