PAT GREEN (Cannonball)
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  Recensione del  15/10/2006
    

Torna dopo un periodo di assenza il bravo Pat Green, country-rocker texano che ha sempre incontrato i nostri favori, con un nuovo scintillante lavoro intitolato Cannonball. Pat negli ultimi anni è diventato una star di prima grandezza in America, ed il suo spettacolo dal vivo ha riscosso sempre molto successo e diversi soldout, ed ora, con il passaggio alla divisione Nashville della Sony, era lecito aspettarsi una svolta commerciale. Fortunatamente Pat è uno con la testa a posto, che ha capito che si può vendere anche senza svendersi, e ha messo a punto il disco più completo di tutta la sua carriera. Coadiuvato in sede di produzione dall'esperto Don Gehman (l'uomo per molti anni dietro a John Mellencamp, di Pat aveva già prodotto il precedente Wave On Wave), il nostro cowboy texano ha ormai quasi del tutto abbandonato il country per diventare un rocker a tutto tondo.
Nei quattordici brani del disco predominano infatti le chitarre elettriche, suonate sempre con una timbrica molto rock, la sezione ritmica pesta duro, mentre violini, steel e mandolini sono praticamente confinati in un angolo. Anche le ballate hanno poco di nashvilliano, ma sono bensì tipiche dei veri cantautori del Lone Star State. Ecco, se c'è una cosa in cui Pat è migliorato decisamente è nella scrittura: i brani a sua firma sono molto migliori rispetto agli album precedenti, meglio costruiti e dal piglio più fiero. Se aggiungiamo che la produzione di Gehman non ha una sola sbavatura e che il gruppo di sessionmen segue il leader in maniera perfetta, capirete perché Cannonball è uno dei dischi country (Pat rimane comunque un artista che si rivolge al mercato del country) più riusciti dell'anno.
La title track apre l'album con una schitarrata degna di un consumato rocker, ritmica secca, voce forte e chiara: il modo migliore per aprire un disco di questo tipo. Way Back Texas è un'altra potente rock song, ingentilita da una steel che riesce però a fare solo il solletico al muro di chitarre. Love Like That rallenta il ritmo, ma mantiene i connotati "maschi" della musica di Pat, quindi niente mollezze o sonorità languide, ma un vero spirito roots che pervade ogni nota. La pianistica Dixie Lullaby è ancora più lenta, ma ha dalla sua una melodia toccante ed una bella performance da parte di Pat; la limpida Feels Just Like It Should è una tipica rock ballad da spazi aperti, figlia di mostri sacri come Mellencamp e Seger.
È anche il primo singolo. Missing Me, pulita e lineare, fa da apripista alla bella Virginia Belle, altro brano rock, venato di pop, terso come il cielo del Texas, degno di comparire su qualsiasi compilation "da macchina". L'elettroacustica (e molto sixties) Finder's Keepers, in cui Pat duetta con Sara Evans, aggiunge ulteriormente punti al disco; un violino rende Won't Let Love la più countreggiante finora (ma le chitarre graffiano, eccome). L'album procede fino al termine senza sbavature: ricordiamo ancora la splendida Lost Without You, in tutto e per tutto un brano di Mellencamp cantato da un altro, il rock-country classico Love Had Something To Say (scritta da Radney Foster), il rock'n'roll stradaiolo Learn How To Live, ancora con l'ombra del Coguaro dietro la canzone. Una decisa conferma da parte di Pat Green, un disco solido e roccato come si deve, che porta di botto il ragazzo texano tra gli artisti leader del genere. Texas is rockin'!