DAMNWELLS (Air Stereo)
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  Recensione del  15/10/2006
    

Giudicando dalla tenacia con cui inseguono la loro idea di fare e scrivere rock'n'roll è un vero peccato che i Damnwells non possano godere di un seguito maggiore: come mi era capitato di sottolineare in occasione del loro promettente esordio, Bastards of the Beat, preceduto peraltro da un'accoppiata di interessanti ep, questo quartetto newyorkese sembra essere arrivato sul proscenio fuor tempo massimo, promotore di un guitar rock frizzante e insistentemente melodico che avrebbe fatto faville lo scorso decennio nelle programmazioni delle college radio americane.
I punti di riferimento stintici - una altalena di armonie fra l'anima pop alternativa degli ultimi Wilco e le sparate chitarristiche di gente come i Gim Blossoms - restano sostanzialmente invariati nel nuovo lavoro. Air Stereo, che segna anche un cambiamento di etichetta e d produzione, seppure le ambizioni della band si siano fatte più grandi, uscendo allo scoperto in maniera definitiva con il loro volte più pop e accattivante. Se il precedente episodio infatti rimuginava un rock'n'roll dal taglio più tradizionale, con frequentazioni ai margini del suono roots, Air Stereo è chiaramente il tentativo di spingersi oltre, plasmando le atmosfere più adatte al songwriting di Alex Dezen, autore unico e vero mattatore della situazione.
Le sue ballate dolciastre e le sue confessioni amorose un po' spaccone sono il viatico per un suono che ammicca volentieri verso un rock'n'roll dalla presa facile, guidato da un piglio elettrico vivace e da delicati interventi di fiati e archi. Nulla è fuori posto in queste tredici canzoni e la perfezione con cui sono delineate le melodie può essere vista sia come un punto a favore, sia come il segnale di un certo autocompiacimento. Resta il fatto che il trittico iniziale è semplicemente impeccabile nel suo genere: I've Got You picchia duro sui tasti di una ballata rock pianistica, Accidental Man è un distillato power pop con quella ruffiana spinta radiofonica che non guasta affatto, mentre la deliziosa You Don't Have To Like Me To Love Me (Tonight) è un gancio che stordisce, con un'intera sezione fiati a soffiare un poco di soul music.
Non sia detto che superato questo scoglio il disco perda di interesse, tutt'altro: non saranno dei geni, eppure Alex Dezen, che imbraccia piano e chitarre, sa scrivere una pop song dannatamente bene (provate con Golden Days, Louisville e Heartbreaklist), lanciandosi persino in lunghe suite (i dieci minuti finali dell'intensa God Bless America, che sembra davvero uscire da A Ghost is Born dei Wilco), laddove David Chernis lascia tracce di riff precisi e di un solismo senza troppi orpelli. Quando alzano il tiro escono brani come Sell the Lie e la trascinante I Am A Leaver, che ricordano da vicino i Soul Asylum dei tempi migliori, quando invece scelgono le maniere acustiche prediligono la ballata malinconica (Shiny Bruise) condita magari da gradevoli fiati e cori sudisti (Keep a Little Organ). Se avete un debole per chitarre e melodia in un colpo solo, per ballate agrodolci e improvvise tirate elettriche i Damnwells fanno esattamente al caso vostro.