WILLIE NELSON & THE CARDINALS (Songbird)
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  Recensione del  15/10/2006
    

Quando, a metò agosto, ho letto la notizia che Willie Nelson aveva registrato un disco assieme a Ryan Adams, ho raddrizzato le antenne. Il vecchio maestro ed il giovane ribelle: i due poli del suono Americana che si incontrano in studio, il Red Headed Stranger che si fa produrre da un ragazzo di 31 anni. Certo che Nelson, 73 anni, non ha paura di nulla. Negli ultimi anni ha fatto di tutto: è passato dal country al blues, dal reggae al western swing, seminando dischi di valore, anno dopo anno, senza minimamente preoccuparsi né delle vendite, né di saturare il (suo) mercato.
La sua rinascita artistica è avvenuta negli anni novanta con dischi come Spirit e Teatro: in seguito ha pubblicato Milk Cow Blues (2000), It Always Will Be (2004), Countryman (2005), You Don't Know Me: The Songs of Cindy Walker (2006), dischi che stanno a significare una carriera in continua evoluzione e che sono completamente diversi uno dall'altro. Senza contare che, oltre a questi, Willie ha registrato un disco per bambini, uno in coppia con Ray Price ed almeno sette album dal vivo, tutto nel giro di una manciata di anni.
Songbird, ovviamente, non assomiglia a nessuno dei suoi predecessori. È un album più rock, decisamente più rock. Ryan Adams, oltre a produrre, accompagna Nelson con la sua band, The Cardinals. La formazione attuale comprende Neal Casal, Jon Graboff, Brad Pemberton, Catherine Popper. Ryan schitarra alla grande, come non fa neanche nei suoi dischi, e l'album è decisamente una bella sorpresa.
Willie canta come sa, si accompagna all'acustica, e si avvale di Mickey Raphael all'armonica: ma il resto della musica è farina del sacco di Ryan Adams. Sonorità rock, momenti country molto intensi (Back to Earth, Yours Love, Sad Songs and Waltzes): ma quello che prevale è un sound chitarristico deciso. E poi ci sono le canzoni: Ryan e Willie ne hanno scritta una a testa, apposta per il disco. La già citata Back to Earth (Nelson) e la country oriented Blue Hotel (Adams). La altre sono di Nelson (Rainy Day Blues, We Don't Run e Sad Songs and Waltzes), Harlan Howard (Yours Love), Gram Parsons ($ 1000 Wedding), Christine McVie (Songbird).
C'è anche un tradizionale: Amazing Grace. E, sorpresa, una canzone di Leonard Cohen (Hallelujah) ed una dei Grateful Dead (Stella Blue). Parto proprio da questa. Primo: andare a prendere Stella Blue vuole dire conoscere Garcia ed i Dead. Stella Blue è una delle canzoni più belle e meno conosciute di Jerry (era su Wake of the Flood e di recente la ha rifatta Warren Haynes su Live At Bonnaroo).
Ma la versione di Nelson e Adams è puro godimento: con una chitarra che fende l'aria, la voce pacata di Nelson, il piano che fa da base, la canzone prende corpo lentamente sino a diventare una ballata indimenticabile, con la sua melodia malinconica che viene cullata da un suono agli antipodi di quello che fa usualmente Willie. Non c'è una nota fuori posto: eppure, a pensarci un attimo, chi avrebbe mai scommesso su una canzone dei Dead cantata da Willie Nelson e suonata da Ryan Adams? Forse nessuno, ma si sarebbe sbagliato di grosso. Ascoltare per credere. Hallelujah di Cohen non ha bisogno di presentazioni. Da quando Jeff Buckley la ha rifatta, la ballata è entrata nel gotha delle canzoni da ricordare.
Tempo lento, crescendo continuo, la voce al servizio della melodia. Nelson canta bene ed il suono, tra rock e country, è semplicemente perfetto. Due capolavori che valgono il disco. L'album si apre con Rainy Day Blues, un blues di Nelson, rivestito di country e swing, con l'armonica di Raphael che si contrappone alla chitarra di Adams, mentre la steel guitar fa i numeri.
Songbird della McVie ha un arrangiamento interessante: sembra country ma è decisamente rock, ha un suono pieno e chitarre in evidenza. Blue Hotel (quella scritta da Ryan) è un valzerone country con Willie che si trova ad occhi chiusi e non sbaglia una entrata. Back To Earth (quella scritta da Willie per il disco) è una tipica ballata, tempo lento, voce grave, chitarra sul fondo: sentita mille volte eppure ancora affascinante, coinvolgente. L'entrata di una steel guitar calda che si contrappone all'armonica scalda ulteriormente la canzone.
Tra le due è però quella di Adams a funzionare meglio, è più originale, ha una melodia superba: e poi il finale quasi gospel con le voci è da brivido. Il brano di Gram Parsons, $1000 Wedding, (non poteva mancare una sua canzone) è riletto in modo pulito, con la steel di Graboff ancora dietro alla voce, mentre Adams pensa al resto e fa entrare la band e la canzone diventa improvvisamente rock. We Don't Run ha un tempo veloce, quasi bluegrass, con i Cardinals che suonano in punta di dita e Willie, sornione, che si diverte un mondo.
Harlan Howard è uno dei grandi autori country e Willie ricorre ogni tanto alle sue canzoni: la steel guitar è di casa, la voce pure, e la canzone, Yours Love, (già nel repertorio di Willie, Waylon, Mel Tillis, Joe Simon e Porter Wagoner) è una classica ballata country spezzacuori. Sad Songs and Waltzes è un altro brano preso dall'immenso bacino di canzoni che è quello di Nelson: un valzer texano, con armonica e steel guitar che viaggiano all'unisono, un tocco di nostalgia ed i ricordi che si perdono nelle colline attorno ad Austin (The Hill County).
Chiusura con il tradizionale Amazing Grace riveduto e corretto. Intro voce e chitarra, poi la band si allunga e la splendida melodia viene riletta con grande passionalità. Sempre mantenendo intatte le sue caratteristiche primarie. Uno dei dischi migliori di quest'anno.