SHAWN MULLINS (9th Ward Pickin' Parlor)
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  Recensione del  18/02/2006
    

Un ritorno di grandissima qualità, quello di Shawn Mullins. Nonostante il successo di Soul's Core, trascinato dall'accativante singolo Lullabye (era il lontano 1998), la sua identità non era mai stata chiara. A tratti sembrava destinato ad infoltire le schiere dei Brian Adams di turno, con produzioni fin troppo accurate e soluzioni ruffiane.
A volte, invece, si sentiva che sotto la sottile patina edulcorata dei suoi dischi si nascondeva un notevole songwriter e anche un buonissimo interprete. 9th Ward Pickin' Parlor, pur mantenendo intatte tutte le prerogative di Shawn Mullins stacca nettamente con il passato (che lui stesso rinnega) e oltre a fare un salto musicale persino sorprendente, ci aggiunge un pizzico in più di coscienza che lo avvicina a gente come James McMurtry e Steve Earle (del primo riprendeva spesso Levelland e recentemente We Can't Make it Here, una canzone che sembra destinata a diventare una sorta di inno per gli outsiders; del secondo, canta spesso Copperhead Road).
Con tante credenziali, attorno a 9th Ward Pickin' Parlor cresce un sound caldo, più vicino all'acustico che all'elettrico, molto informale e scarno eppure completo e potente. Shawn Mullins ha voltato pagina con decisione lavorando con un ristretto gruppo di musicisti (Gerry Hansen alla batteria, David Labruyere al basso, Peter Stroud alle chitarre) ed è andato a registrare nello studio di Mike West (che ha aggiunto anche chitarra e banjo) a New Orleans, in Dauphine Street, vicino agli argini e poco prima che Katrina lo spazzasse via (non a caso il titolo è proprio dedicato allo studio e parte del ricavato sarà destinato ai fondi dei musicisti di New Orleans).
L'unico tocco per dare una rifinitura al sound è venuto da Glenn Matuallo (già al lavoro con le Indigo Girls e con John Mayer) che comunque ha lavorato con discrezione e precisione attorno a canzoni che sembrano scritte e incise con il cuore in mano. L'elenco è corposo perché Shawn Mullins si scopre generoso nell'offrire le ballate (la dolcissima Blue As You che non sfigurerebbe su Fair & Square di John Prine e poi We Could Go, Kelly's Song e Alaska), ma spazia anche nei ricami old time della pacifista Lay Down Your Swords, Boys e poi per non fare torti cita i Beatles nella melodia di Faith (che prende un po' da Hey Jude) e gli Stones più informali nel riff di All Fall Down.
Almeno quattro canzoni meritano qualcosa in più perché Beautiful Wreck, scelta anche come singolo, magari non avrà il successo di Lullaby, ma è una no love song degna di nota, oltre ad essere (con All Fall Down) il brano più elettrico dell'album. Al contrario, Cold Black Heart è acustica, ma geniale: fonde un ritmo incessante (a tratti quasi hip hop), una melodia straziante, il mandolino e il banjo per disegnare un' intensa murder ballad. Una riscoperta delle radici veramente degna di nota che prosegue con Homemade Wine: desertica e con un soffio di fisarmonica in sottofondo ricorda da vicino gli ultimi dischi di Dave Alvin anche per i toni gutturali di Shawn Mullins che in tutto il disco mostra una versatilità, come cantante, davvero notevole.
Incantevole in Find Love dove l'intersecarsi di pedal steel e piano sottolineano la qualità di una canzone che uno come Chris Isaak (con cui c'è qualche affinità, non ultimo il fatto che anche lui dovrebbe farsi un giro nello studio di Mike West) non riesce più a scrivere da dieci anni almeno. Non è finita qui, perché, in aggiunta ad oltre un'ora di musica eccellente, nelle bonus tracks si annida una sorpresa. Dopo Solitaire, l'ennesima ballata suonata e cantata con grande tatto, Shawn Mullins, forse per salutare anche l'approdo alla Vanguard (un'etichetta che è quasi un'istituzione), s'inerpica in una teatrale e vibrante versione di House Of The Rising Sun.
Scelta facile perché la canzone è bella, semplice e conosciuta nel mondo intero, ma insieme anche molto difficile perché se ne conoscono dozzine di versioni (Hoyt Axton ne fece una particolarmente affascinante, per esempio) e aggiungere qualcosa in più non era ordinaria ammistrazione. Shawn Mullins ci riesce per via di un'interpretazione vocale veramente intensa e ispirata e per una volta il lieto fine ci sta per lui e per i suoi amici del 9th Ward Pickin' Parlor. Mike West ha schivato Katrina (nel frattempo era in tour) e senza perdersi d'animo ha ricostruito il suo studio a Wichita, Kansas, nella speranza che diventi un rifugio per tutti quei songwriter senza casa e senza legge. Shawn Mullins per primo che, proprio con 9th Ward Pickin' Parlor ha saputo riprendere la strada giusta. Con grande coraggio e altrettanto stile. Bentornato.