Dopo dieci anni di militanza nel music-biz (comunque quello dove i chilometri di strada percorsa contano più di lustrini, paillettes e presenzialismi televisivi),
Reckless Kelly Was Here dovrebbe essere, come si usava fare una volta, il fiammeggiante doppio dal vivo che illustra e celebra i progressi archiviati da chi ne è titolare. In questo caso i texani
Reckless Kelly e la loro ragione sociale ispirata all'omonimo Ned, leggendario fuorilegge australiano: se la tecnologia del giorno d'oggi, grazie a un dvd (peraltro in tutto e per tutto artigianale) allegato praticamente a costo zero, gli consente persino un surplus di generosità nei confronti del pubblico, il confronto con lo spessore artistico dei grandi live della mitologia rock è meglio non tentarlo neanche.
Se non altro per rispetto nei confronti dei Reckless Kelly e dell'entusiasmo (davvero notevole) della platea radunatasi il 31 marzo di quest'anno alla Zona Rosa di Austin, teatro dell'esibizione nonché piccola istituzione della musica dal vivo made in Texas. Voglio dire, considerata la cronica penuria di decenti spettacoli live di cui soffriamo nella Penisola, be', ammetto che anche solo immaginare un locale che oltreoceano si riempie, balla e ruggisce per un'onesta rock'n'roll band induce a credere che il futuro dell'umanità, in fondo, non possa essere così cupo. L'unico problema sta nel fatto che stiamo parlando di una serata invero non memorabile, magari divertente, sincera, talvolta persino trascinante. Nondimeno inequivocabilmente modesta.
I Reckless Kelly, sapete, sono una band altalenante, nel senso che devono ancora imparare a combinare col dosaggio opportuno irruenza elettrica e radici country, unghiate rock e ripiegamenti roots: il rischio al quale si espongono costantemente è quello di suonare o troppo ottusi in un senso oppure troppo scarichi nell'altro. I numeri per rendere più equilibrata la miscela li hanno, e a ratificarlo ci sono le cover qui presenti, tra cui due riletture tutt'altro che scontate o prevedibili di
1952 Vincent Black Lightning (Richard Thompson) e
Revolution (Beatles), sicché immagino che quando il blend risulterà perfetto saluteremo un grande disco (non un capolavoro, forse, ma un grande disco sì).
Under The Table And Above The Sun (2003) era sembrato un deciso passo avanti in questa direzione, mentre il successivo
Wicked Twisted Road ('05) aveva ulteriormente confuso le carte in tavola a causa di un suono intempestivamente appiattito:
Reckless Kelly Was Here, da par suo, mostra inalterato il maggior pregio del primo, ovverosia la propensione a un rock'n'roll diretto, graffiante e immediatamente coinvolgente sotto il profilo delle melodie (ascoltate i sussulti rocciosi di
Sixguns, Baby's Gone Blues e della
Castanets che fu di Alejandro Escovedo), però non riesce a sorvolare sui difetti del secondo, replicati in toto su una perifrasi alquanto scialba di un brano di per sé bellissimo come
Vancouver o sulla scombinata caricatura tradizionalista di
Wild Western Windblown Band.
Senza nulla voler togliere all'inaudito pestaggio inscenato dalla sezione ritmica di Jimmy McFeeley (basso) e Jay Nazz (tamburi), con tutto rispetto per il ragguardevole volume di fuoco sprigionato dalle chitarre di David Abeyta e Willy Braun, l'impressione è che ai
Reckless Kelly, per spiccare il definitivo salto di qualità, manchi ancora qualcosa, perlomeno la capacità di sfoderare quel quid compositivo che sappia distinguerli dalle nutrite schiere di mestieranti a zonzo tra Austin e dintorni.
Quando l'alchimia scatta, quel che ne scaturisce sarebbe da incorniciare: mi riferisco allo sbrindellato lamento country dell'autobiografica
Motel Cowboy Show, al pop-rock affilato di una
Nobody's Girl e una
Crazy Eddie's Last Hurrah in odor di Tom Petty o a quello più folkie della fulminante
Seven Nights In Eire, alla romantica elegia roots di
Wicked Twisted Road. Eppure, di nuovo, i brani inediti, presenti sia in formato live sia in versioni da studio, non sciolgono la dicotomia tra mestiere e vera ispirazione.
Break My Heart Tonight, da un lato, è una livida, furiosa rock-ballad inzuppata di radici, tra le migliori che i Reckless Kelly abbiano mai scritto;
Wiggles & Ritalin, dall'altro, sfrutta il pilota automatico per portare a termine un rock'n'roll banale e fracassone, una galoppata boogie mille volte già sentita che, dopo averlo menzionato nel testo, addirittura cita testualmente il ritornello della canzoncina - ScoobyDoo, Where Are You? (David Mook & Ben Raleigh, 1969) - che accompagnava la prima serie del mitico ScoobyDoo, l'imprescindibile, paurosissimo cagnone investigatore suo malgrado creato da Joseph Hanna e William Barbera. Massimo rispetto per Scooby, ma l'accoppiata con i Reckless Kelly, sia detto senza ironia, non mi pare delle più azzeccate.