TODD SNIDER (The Devil You Know)
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  Recensione del  28/09/2006
    

"Prima sono un vagabondo, e poi un cantante" dice Todd Snider che nel frattempo si è sposato (la moglie è l'autrice del dipinto in copertina a The Devil You Know). Finita la luna di miele, dalla mansarda della casa in cui è andato a vivere ha ricavato un bar che, neanche a dirlo, è presto diventato il club di tutti gli altri scapestrati di East Nashville. Magari la vita matrimoniale, se l'andazzo dovesse proseguire, ne risentirà, ma intanto Todd Snider sembra aver trovato quella continuità che East Nashville Skyline e ancora prima New Connection lasciavano intravedere.
Se allora l'omaggio ad un certo songwriting, quello più acuto e tagliente che ha in John Prine e Kris Kristofferson i punti di riferimento più chiari, era garantito da una sua personale interpretazione, in The Devil You Know Todd Snider ha fatto molto di più coinvolgendo musicisti che, prima di tutto, sono songwriter: Will Kimbrough, Tommy Womack, David Zollo, Peter Cooper (uno dei più assidui frequentatori del club di cui sopra e a dire il vero anche gli altri musicisti sono di qualità Lloyd Green alla pedal steel ha suonato in Sweetheart Of The Rodeo dei Byrds, per dirne uno, Craig Wright era nella prima versione dei Dukes di Steve Earle e Paul Buchignani nell'ultimo scampolo di carriera degli Afghan Whigs). Un segnale forte ed esplicito che, nello stesso tempo, è una sorta di tributo agli outsider del songwriting che va a corroborare le espressioni, tutte molto forti e nitide, di The Devil You Know.
Poco meno di quaranta minuti bastano per farsi un'idea dell'America oggi: se il "living with war" di Neil Young è diretto, polemico e univoco, quello di Todd Snider è molto più sfumato e articolato. Per semplificare, Todd Snider non chiede l'impeachment del presidente, ma non gli sfuggono le contraddizioni del vivere in un quartiere dove accanto a ville da mezzo milione di dollari crescono baraccopoli dove regna la disperazione. La sua filosofia, con un accento degno di Mark Twain, introduce così i temi di The Devil You Know. "Ero incazzato perché non avevo le scarpe. Poi ho visto uno che non aveva i piedi, e ho pensato di essere fortunato, ma adesso sono veramente incazzato".
Per una volta il vigore delle canzoni e delle parole è supportato anche nella musica e nel sound: dopo una breve introduzione pianistica dai tortissimi accenti springsteeniani, si parte con un rock'n'roll a tutta velocità, e non sarà l'unico nell'arco di tutto il disco. Se If Tomorrow Never Comes suona come se Todd Snider avesse riascoltato le ristampe di Chuck Berry per tutto l'anno, The Devil You Know è ancora più travolgente e rimanda direttamente a John Fogerty. Anche All That Matters e Unbreakable vanno in quel senso, anche se con qualche fuoco d'artificio in meno, ma poi il buon diavolo di Todd Snider non poteva dimenticarsi degli Stones che qui arrivano con il riff di Looking For A Job, un clamoroso inno blue collar, e con The Highland Street Incident dove al grezzo intreccio di batteria e chitarra si sovrappone un talking blues che è quasi un rap, nonché con Thin Wild Mercury.
Lo strano titolo di quest'ultima è la definizione con cui Bob Dylan chiamava la sua musica ai tempi di Blonde On Blonde e Todd Snider ci ha ricamato sopra una storia in cui il violino porta la canzone in direzione di John Mellencamp, periodo Lonesome Jubilee. Molto belle anche le canzoni acustiche (o quasi): Just Like Old Times, talking blues che ormai è piuttosto tipico del suo stile (via Bob Dylan, naturalmente, e l'armonica è lì a ricordarlo), You Got Away With It (A Tale Of Two Fraternity Brothers) che sembra una sorta di ringraziamento a John Prine e Carla, una grande ballata acustica in odore di swing. Conclude la sarabanda Happy New Year, con una rinnovata puntata di sarcasmo, in perfetto stile Todd Snider: ad oggi, una delle voci più credibili del rock'n'roll e dell'America tutta.