LOS LONELY BOYS (Sacred)
Discografia border=parole del Pelle

        

  Recensione del  27/09/2006
    

Ci sono voluti tre anni per avere il nuovo disco dei Los Lonely Boys. Tre anni per capire se il primo album (successo straordinario in Usa, ristampato quattro volte, due milioni di copie, un singolo al top (Heaven) era una meteora oppure no. Accolto pallidamente dalla critica italiana, Los Lonely Boys ha invece convinto quella d'oltreoceano, come sta facendo anche Sacred. Il suono ruspante della band, definito Texican Style, un mix di Santana e Stevie Ray Vaughan con un tocco mexican, ha invece fatto breccia nei cuori degli americanos ed ha creato una aspettativa esagerata per questo secondo disco. Ebbene Sacred non solo non delude, ma ci mostra un band in salute, diretta da un chitarrista formidabile (Henry Garza), che propone canzoni di qualità come il singolo Diamonds, la spanish song Oye Mamacita (che, giusto a metà, propone un assolo degno di Jimi Hendrix o Stevie Ray). Henry Garza ha una chitarra fiammeggiante, Jo Jo e Ringo (sempre Garza) sono una ritmica di peso: il resto lo fanno le canzoni.
Per questo disco i ragazzi hanno ripreso come produttore John Porter, uomo di esperienza che ha lavorato coi Little Feat, Jon Cleary, Dr John, BB King, Santana, Roxy Music, Keb Mo', e John ha dato i suoni ed i tempi, come già aveva fatto in passato. Ci sono una sezione fiati, ospiti importanti come Willie Nelson, tastiere e percussioni aggiunte, ma la sostanza non è cambiata: rimane il suono di un power trio, a metà tra musica latina e rock blues. Un suono forte e pulsante, con una chitarra poderosa, come dimostra ia vitale Rosie.
C'è spazio anche per un po’ di Messico con l'autoreferente Texican Style (dove c'è la fisarmonica di Michael Guerra), oppure per il rock acceso di One More Day. Bella l'iniziale My Way (non è quella di Sinatra, ovviamente), mentre Outlaws (dove appaiono Willie Nelson ed il padre dei tre fratelli, Enrique Garza) viene introdotta da un giro di chitarra che ricorda Voodoo Chile di Hendrix. Un disco che non nasconde le sue ambizioni ma che, al tempo stesso, non si riposa sugli allori e continua ad inoltrarsi in un mondo musicale abbastanza inesplorato. Il confine tra Texas e Messico, tra musica latina e Blues, due stili agli antipodi che i Los Lonely Boys riescono a mettere assieme in modo creativo.