TOM PETTY (Highway Companion)
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  Recensione del  09/08/2006


    

Di Highway Companion (bellissimo titolo) se ne parlava ormai da un paio d'anni. Il problema è che la Warner voleva scaricare Tom Petty e, in effetti, l'ha scaricato. Nel frattempo però si è comprata l'American Recordings di Rick Rubin con cui Tom Petty aveva appena firmato un contratto. Questo per dirvi con quale lungimiranza e attenzione agli artisti (e non stiamo parlando dell'ultimo songwriter di Austin, Texas) lavorano i manager dell'industria discografica, i quali alla fine si sono dichiarati entusiasti di aver ancora Tom Petty tra i piedi.
Beata ipocrisia, ma non è finita qui. Si è dichiarato entusiasta anche Rick Rubin, dopo aver siglato il contratto con Tom Petty, perché secondo lui "ormai tenere insieme una rock'n'roll band è un'arte perduta" (bellissima definizione) e "gli Heartbreakers sono la quintessenza della rock'n'roll band americana" (verissimo). Infatti, e questo per dirvi come la confusione regni sovrana, Highway Companion è il terzo disco solista di Tom Petty (dopo Full Moon Fever e Wildflowers) e degli Heartbreakers non c'è traccia, salvo la partecipazione di Mike Campbell, uno dei migliori chitarristi americani e da tempo il suo alter ego.
Paradossalmente, ma nemmeno più di tanto, tutto questo caos ha lasciato libertà assoluta a Tom Petty che ha potuto finalmente tirar fuori quelle Songs From The Garage che probabilmente cercava e covava dall'epoca di Full Moon Fever. Tracce di quell'attitudine sporca, minoritaria e anche marginale che ha la sua bibbia e le sue fondamenta in Nuggets erano apparse in maniera casuale nei dischi di Tom Petty con o senza gli Heartbreakers, basta ricordare quella Zero From Outer Space che è la quintessenza stessa del garage sound. A partire dall'organo che spunta in Saving Grace, quell'approccio minimalista costituisce l'unica architettura portante, anche se poi le sonorità, le canzoni e il tema ricorrente in tutto il disco sono decisamente più evoluti.
Come si intuisce dal titolo, Highway Companion è una sorta di diario di viaggio, molto intimo e personale, dove la strada, la partenza e il ritorno sono temi che ricorrono con una certa costanza. Non è il viaggio metafisico di Bruce Chatwin (ben interpretato in Greenland dai migliori allievi degli Hearbreakers, i Cracker), né il tormento quotidiano di una travelin' band e nemmeno lo spunto liberatorio della Beat Generation. È piuttosto una fuga ideale, un muoversi a più velocità per ritrovarsi e per ritrovare un mondo perduto. Sembra innato il collegamento e la naturale emersione di due eroi di Tom Petty (e anche di Mike Campbell) che in Highway Companion aleggiano come non mai: John Fogerty e Bob Dylan. Dal primo, ricalca e ridefinisce un'idea di standard del rock'n'roll che è ormai un classico; dal secondo, prende in prestito tutto il resto, dall'armonica alle visioni alle melodie di Down South e Ankle Deep.
Con queste coordinate la presenza e il gusto pop di Jeff Lynne, per quanto accreditato come produttore e partecipe alle sessions, è piuttosto marginale, salvo le sfumature di Ankle Deep, che ricorda molto l'organizzazione sonora di Into The Great Wide Open e il raffinato tenore West Coast di The Golden Rose. Per il resto i suoni sono molto ruvidi, nudi e crudi, con una batteria minimale (è lo stesso Tom Petty a suonarla), pochissime tastiere (e a tratti si sente la mancanza del tocco magico e discreto di Benmont Tench), le chitarre dispensate con generosità ma sempre all'interno del recinto delle canzoni.
Una slide cooderiana illumina Square One, (bellissima, acustica e molto Wildflowers), un fraseggio morriconiano viene sfoggiato in Flirting With Time (Tom Petty al 100%), un riff (tra i tanti) degli Who viene riletto per Jack e insieme le acustiche e le elettriche avvolgono Turn This Car Around (una grande canzone) e This Old Town in spirali psichedeliche. L'intreccio è quello per tutto Highway Companion, con Tom Petty che si destreggia egregiamente con la voce. Dove ha perso freschezza, recupera in esperienza rubacchiando, come si diceva, il mestiere a Dylan o scegliendo di sfruttare l'atmosfera (la crepuscolare Night Driver tratteggiata dal piano elettrico).
Chi cerca sempre e soltanto le sferzate e i ritornelli degli Heartbreakers si può soddisfare con Saving Grace (un corposo stomp molto Creedence sull'onda del riff di On The Road Again), con Big Weekend (dove spicca anche un'armonica) e con Damaged By Love che riprende il tema di The Damage Is Done (su Let Me Up, con cui c'è più di un'affinità ideale). Però, l'aspetto più forte di Highway Companion, o forse il modo giusto di ascoltarlo, è nella sua unità, nella coerenza tra una canzone e l'altra, nella linearità dei suoni, ovvero nella sua uniformità. Quasi un concept album, perfetto per viaggiare, va da sé. Se si evita il confronto con Full Moon Fever e con Wildflowers, due dischi monumentali, Highway Companion regge e, sulla distanza, cresce anche perché è diverso da entrambi.
Non a caso: negli anni Tom Petty è sempre stato il più eccentrico dei suoi coetanei (Bruce Springsteen, John Mellencamp, Bob Seger) e per certi versi anche il più coraggioso. Ancora oggi, con Highway Companion ha scelto tra i fondamentali dei rock'n'roll, magari aggiornandone i suoni e ristrutturandone i contorni, però guidando sempre nella corsia della canzone, delle chitarre, di quello che piace a lui e a noi, sicuro che un orizzonte prima o poi spunta sempre.
Il caos di chi vede la musica attraverso la lente deformante di fusioni, acquisizioni, demolizioni e disastri assortiti sparisce si dimentica in un attimo davanti a Highway Companion anche perché di Tom Petty e degli Heartbreakers torneremo a parlare molto presto: per festeggiare il trentesimo anniversario della carriera (e sedici Grammy e cinquanta milioni di dischi venduti) è stato chiamato Peter Bogdanovich a dirigere un film (meritatissimo) tutto dedicato a loro.