KIERAN RIDGE BAND (Nothing Left to Lose)
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  Recensione del  26/03/2006
    

Nella terra di nessuno fra tradizione roots e rock'n'roll dal marchio operaio spunta il nome della Kieran Ridge band, piccola sorpresa primaverile che va a rinsaldare le credenziali della scena di Boston. Da quelle parti è infatti sempre spirata una leggera brezza tradizionalista che negli anni ci ha lasciato in eredità eroi di culto (bastano i Del Fuegos per ricordarvelo?) e fugaci comparse (Raindogs, ad esempio). La voce al catrame di Kieran Ridge e la sua poetica stracciona, da viaggio on the road, è il motore di una rock'n'roll band onesta come le sue ballate polverose e il suoi grezzi blues rock. Il gracchiare elettrico è spesso figlio del blue collar della East Coast, ma le radici sono ben piantate nella sterminata provincia americana, con un tocco country fuorilegge che piacerebbe molto dalle parti di Austin: insomma si stenta a credere che questi ragazzi non provengano da qualche sperduta small town del Midwest.
Tolti di mezzo i luoghi comuni resta un disco schietto che farà la felicità di chi chiede soprattutto emozioni e passione, e non si lascia irretire da problemi di originalità. Nothing Left to Lose è il secondo capitolo, dopo che l'esordio del 2003 aveva lasciato qualche segno nei circuiti di New England e New Jersey, zone di maggiore caccia per la Kieran Ridge band. Il leader canta a squarciagola il suo blues da hard times, romantico e disperato, mentre i partner essenziali per il sound della band sono Carlos Gonzales (chitarre, mandolino, banjo, fiddle) e Chris Coughlin (piano, organo, accordion), quest'ultimo anche autore di un paio di brani, la ballata rootsy Think About it e il rauco blues notturno di Amandine.
Peccato soltanto che gli inevitabili limiti di produzione lascino sul campo qualche punto, dentro un sound un po' rabberciato (ne fanno le spese il rock'n'roll smargiasso e alcolico di Blinded by the Sight of You e Things You said), eppure una buona fetta del materiale è davvero trascinante: la title track, roots rock impetuoso e dai vaghi sapori springsteeniani, l'accoppiata dagli orizzonti western di Drifter e Alone, tra Dylan e i Green on Red più desertici, fino all'acustica, country-oriented When You're Gone.
Le ingenuità di rito (sono indipendenti e animosi, qualche errore ci può stare) restano confinate ad alcuni vizi della chitarra solista, forse inutili nell'economia del gruppo: Too Far away, ottimo bluesaccio che perde il controllo sul finale, oppure Already Gone, dove Gonzales gioca a fare il Mark Knopfler della situazione infilando copiose scale che non vanno da nessuna parte. Possono crescere.