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Tim Easton: non che si fosse mai allontanato definitivamente dalle radici di folksinger, quelle che lo portarono un tempo a suonare come un vecchio busker per le strade di mezzo mondo, ma è pur vero che le prime note di
Ammunition e di conseguenza l'intera struttura del suo quarto lavoro azzerano ogni velleità "modernista" (come era avvenuto ad esempio in
The Truth About Us) e persino l'accattivante coperta elettrica del predecessore
Break Your Mother's heart. Quello che resta è in gran parte la semplicità disarmente di alcune folk song, raramente arricchite da un suono full band, bozzetti e accenni che sovente sono stati costruiti basandosi sull'unico contributo dello stesso Easton.
Registrato nell'arco di due anni in quattro differenti studi, Joshua Tree, Alaska, Cleveland e Minneapolis, e con altrettanti ingegneri del suono,
Ammunition è un diario di bordo, un po' sfilacciato ma sincero, del musicista
Tim Easton e della sua natura vagabonda, una sequenza di impressioni incise di getto, dove quello che conta sono le emozioni più dirette, mentre la costruzione del brano e gli arrangiamenti vengono ridotti al minimo. Non si pensi tuttavia alla bassa fedeltà tanto in voga: nella rotondità delle melodie, nella limpidezza delle chitarre acustiche, nella stessa partecipazione, pur ridotta, di Lucinda Williams, Gary Louris e Tift Merritt ai cori, andiamo ben oltre l'abusata formula del lo-fi.
Tim Easton è un songwriter della vecchia scuola, potrebbe diventare appetibile ai numerosi fan di Ryan Adams se solo lo volesse, e sicuramente possiede molto più talento del sopravvalutato Josh Rouse, ma sembra non curarsene e per questo lascia scorrere deliberatamente il treno della fortuna.
Invece di capitalizzare le conquiste del passato infatti, si chiude a riccio dentro i sussurri acustici di
Oh People e
I Wish you Well, nell'allegoria di
Black Dog e
Before the Revolution, testi politici intelligenti ed evocaticvi, infine sublimati dalla più scoperta
J.P.M.F.Y.F., ovvero l'acronimo di Jesus protect me from your followers, lamento sul ritorno dell'America "fondamentalista" di questi anni. E' così naturale nella sua innocenza da non sfruttare fino in fondo nemmeno le presenze di Tift Merritt in
Next to You e della Williams (con l'aggiunta di Doug Pettibone alle chitarre) nella fascinosa
Back to the Pain, presenze impalpabili e che sembrano solamente omaggiare un collega stimato.
Preferisce l'understatment
Tim Easton, scaccia ogni tentativo di imprigionarlo in un genere che gli è mai appartenuto, l'alternative country, e non si vergogna di tornare a recitare il ruolo del buon discepolo dylaniano (
News Blackout, C-Dub, scorticati esempi di buon vecchio folk blues)…in ogni caso è convinto di essere seduto sul tetto del mondo, lo ribadisce nella cover finale del classico
Sitting on Top of the World e tanto gli basta.