Dopo la parentesi solista, lo scorso anno
Jay Farrar ridava vita ai
Son Volt, la band con la quale alla metà degli anni '90, aveva definitivamente chiuso l'esperienza
Uncle Tupelo, pubblicando l'ottimo
Okemah and the melody of riot, un lavoro che, pur presentando un suono leggermente più morbido rispetto al passato, segnava un deciso ritorno a quegli stilemi alternative country ed Americana, che l'artista sembrava aver accantonato negli album realizzati da solista. A testimonianza dell'ottima salute della band, i
Son Volt pubblicano ora uno spettacolare DVD dal vivo, che ritrae un intero concerto tenutosi il 23 settembre dello scorso anno ad Ashville in North Carolina, nel corso del quale Farrar ripercorre la propria carriera a partire dagli esordi con i Tupelo fino all'ultimo lavoro con i Son Volt, che è ovviamente l'episodio più rappresentato.
Dal vivo la band si attiene alla incrollabile "fede nella 6 corde" del titolo, infatti le chitarre tornano a sollevare tutta la polvere di quel rock periferico ed erroneamente considerato minore, che sanguina malinconia, canta speranze e delusioni ed evoca tanto le radici rurali della musica tradizionale americana, quanto le urbane intemperanze del punk. Oltre alle chitarre acustiche ed elettriche di Farrar, all'armonica ed alla sua inimitabile voce, la ringiovanita lineup dei Son Volt comprende Chris Frame alla solista, Andrew Duplantis al basso, e gli ex-Canyon Derry DeBorja alle tastiere e Dave Bryson alla batteria, una band solida e grintosa, capace di esprimere un suono melodico ed avvolgente nelle ballate sfumate di country, ma anche di fare fuoco e fiamme negli episodi più elettrici.
Trentuno canzoni per oltre due ore di concerto mettono in luce l'originalità del suono dei
Son Volt e l'ottima scrittura di Farrar, attraverso una musica che amalgama in maniera splendida folk, blues, country e rock. Episodi tratti dai lavori solisti come
Damn Shame, Clear day Thunder o la desertica e bellissima ballata country
Barstow brillano di nuova luce, lasciando da parte le sperimentazioni di studio e acquistando vigore ed intensità, così come le nervosa
Straightface, la bluesata
Medicine hat,
Caryatid Easy o la tesa
Drown, punte di diamante dei primi dischi dei
Son Volt, ritrovano l'energia ed il suono ruvido ed aspro degli esordi. Una vena più melodica anima per contro le canzoni tratte da
Okemah and the melody of riot, improntate ad una musicalità fluida, arrotondata dall'organo, che fa spesso da contorno alle chitarre: brani come l'iniziale
Who, l'ottima
Bandages & scars, Atmosphere, o Ipecac si snodano lungo fitti intrecci chitarristici, misurati asolo, distesi accordi country e stilettate di slide, pause melodiche ed esplosioni ritmiche.
Senza pause, il concerto allinea una lunga serie di successi: canzoni come la potente
Loose string, l'evocativa
Picking up the signal, il diretto country rock di
Feel free, la malinconica ballata
Tear stained eye, il country elettroacustico di
Windfall, le trame psichedeliche ed i feedback dell'improvvisata
Medication o il folk di
Jet Pilot, fino alla originalissima cover di
Armagideon Time, resa celebre dai Clash e qui indurita in una riuscita versione punk rock, fino alla conclusione con
Chickamauga, ripescata dal repertorio Uncle Tupelo.
Le immagini scorrono perfette, con frequenti primi piani e inquadrature da diverse angolazioni, ad accompagnare la musica di una band che rimane ad oggi la voce più alta dell'intero movimento alternative country.