STEVE EARLE (Live at Montreux 2005)
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  Recensione del  26/07/2006
    

Si sa, ho un debole per questo musicista. Ma il fatto di trovarmelo davanti solo voce e chitarra, come mi è già capitato direttamente in concerto, mi emoziona. Earle è uno a tinte forti, non si direbbe in grado di reggere un concerto da solo. Ebbene, ascoltatevi questo Live, registrato nel 2005 sul prestigioso palco di Montreux, e ve ne renderete conto. Earle è in grado di reggere un concerto da solo, ed alla grande. La sua voce, carica ed espressiva, l'armonica dylaniana, la chitarra acustica spazzolata con forza, fanno diventare Steve un vero folksinger.
E lui è uno scrittore di razza, da sempre contro l'establishment, che non molla il colpo ma che va dritto senza guardare in faccia a nessuno. Ha pagato sulla sua pelle, sempre, ma ha anche avuto, sempre, il coraggio di dire quello che pensava, senza curarsi degli effetti collaterali. Live At Montreux (che esiste sia in versione CD che in quella DVD) offre quasi un'ora di musica acustica, secca e diretta, con il nostro che esegue classici del suo repertorio e brani tratti dai lavori più recenti. Se Devil's Right Hand è ormai quasi un inno, la divertente Condi Condi spezza le tensioni ed affronta la politica con un sorriso beffardo. Jerusalem ha un tema di base molto dylaniano, mentre What's A Simple Man to Do unisce folk e commento sociale. Warrior e Rich Man's War sono tratte dal suo lavoro più recente (decisamente anti Bush, come ha fatto Neil Young), mentre South Nashville Blues è un classico talkin' blues. Steve palesa le sue radici folk e si propone in modo spartano, facendo brillare le canzoni, come nella bluesata CCKMP (Cocaine Cannot Kill My Pain), dal testo decisamente drammatico.
La bellezza di Dixieland, una vera folk song, e la forza interiore di Ellis Unit One (grandissima canzone) danno ulteriore spessore alla serata. Steve è in forma, canta con voce aspra, segnata dalle battaglie della vita, con tonalità amare, drammatiche e le sue canzoni si inseriscono alla perfezione in questo modo di esibirsi. The Mountain è ancora folk, con forti radici country, mentre The Revolution Starts Now, dal testo duro, apre per un finale di grande effetto. Copperhead Road, una canzone che ormai è diventata un manifesto per l'autore, e la struggente Christmas in Washington, tra le canzoni più belle mai scritte da Steve, chiudono una bella serata. E, una volta giunti alla fine, si ha ancora voglia di risentirlo.