Nuovo lavoro per
Bruce Robison, musicista texano fratello di Charlie, dal semplice titolo di
Eleven Stories. Bruce è un bravo musicista, ha una vena cantautorale molto gradevole, anche se non ha lo stesso talento di Charlie, più completo e dotato di una maggiore capacità di coinvolgere l'ascoltatore, anche grazie ad una maggiore propensione al rock. Ma faremmo un torto a Bruce se ci limitassimo a paragonarlo al fratello:
Eleven Stories è un riuscito album di cantautorato texano, da parte di un musicista onesto e capace (è anche un apprezzato autore per conto terzi), che non deluderà di certo i fans di questo tipo di musica.
Eleven Stories è il quinto disco di Bruce (contando anche il live a tre con Charlie e Jack Ingram), e contiene appunto undici brani, undici episodi in cui prevalgono le atmosfere rilassate, bucoliche, acustiche, con qualche occasionale crescita di ritmo ed un paio di covers azzeccate.
Bruce è accompagnato da ben tre bands diverse, in cui spiccano i nomi di Kevin McKinney, Al Perkins alla steel guitar, Randy Scruggs e la moglie Kelly Willis ai cori. Di solito dischi di questo tipo partono col botto, ma Bruce decide di iniziare con la lenta
Every Once In A While, una delicata e tenue ballata dalla melodia gradevole e abbellita dal prezioso lavoro di Perkins alla steel.
Virginia è più elettrica, ma meno immediata nel refrain; il disco inizia a crescere con la cover, molto bucolica e rallentata, del classico dei Grateful Dead
Tennessee Jed, ravvivata nel ritornello da un coro quasi gospel.
Chiaro esempio di come si possa riproporre una canzone in maniera intelligente, mantenedone intatto lo spirito.
More And More è invece un vecchio brano del leggendario Webb Pierce, e stavolta Bruce la ripropone con assoluta aderenza allo stile honky tonk melodico del suo autore (proprio come ha fatto Van Morrison nel suo ultimo album con There Stands The Glass, sempre di Pierce), aiutato dalla Willis alla seconda voce.
Days Go By è un racconto per voce, chitarra e poco altro, mentre con le belle
All Over But The Cryin' (che è anche il primo singolo) e
Don't Call It Love si rimane sul versante delle ballate, anche se con una strumentazione decisamente più ricca.
You Really Let Yourself Go è un veloce honky tonk elettrico con un piede nella tradizione ed uno nel moderno (piacerebbe di sicuro a Dwight Yoakam),
I Never Fly è uno slow crepuscolare ricco di feeling.
Kitchen Blues è un gentile acquarello acustico, mentre
Bandera Waltz, come suggerisce il titolo, è un brano tipicamente texano, un valzerone lento dalla chiara impronta melodica. Una buona conferma per
Bruce Robison: di questo passo il prossimo disco potrebbe essere all'altezza di quelli del fratello Charlie.