EDWIN McCAIN (Lost in America)
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  Recensione del  02/06/2006
    

Non ho mai nutrito una grande passione nei confronti di Edwin McCain in quanto il talentuoso rocker di Charleston (South Carolina), partito come southern soul balladeer vicino a Hootie and the Blowfish (tanto che ne era supporter nei live acts), ha poi virato verso soluzioni dalle parti di Michael McDonald e Dave Matthews Band, senza peraltro convincere, per poi impastoiarsi in mai eccelse sonorità roots acustiche deludendo totalmente le mie attese.
A 35 anni e alla settima prova sfodera finalmente il disco migliore della sua carriera, infatti, alza il volume delle chitarre, ritmica a palla, rispolvera l'energia degli esordi indirizzandola verso un rock più sanguigno ma soprattutto riesce a scrivere le "canzoni" che mancavano nelle prove precedenti. A parte due brani di Bill Mallonee (si proprio quello dei Vigilantes of Love) scrive tutti i pezzi trovando una vena davvero pregevole. L'inizio è di quelli che lasciano il segno, tre brani che mi hanno fatto raddrizzare le orecchie a partire da Gramercy Park Hotel e The Kiss, ho subito pensato che il vecchio John Cougar avesse seminato un figlio senza che lo sapessimo, infatti i riferimenti al nostro favorito dei tempi di Nothin Matter... sono piacevolmente evidenti, ottimi brani; Welcome to Struggleville si avvale di una ritmica di pregevolissima fattura e le chitarre di Peter Riley (benedetta la sua presenza) e del fido Larry Chaney incrociano tessendo trama ed ordito da tappeto persiano.Truly Believe si fa apprezzare per la freschezza e l'assolo chitarristico; Lost In America è il brano che, unitamente a Gramercy Park Hotel, farà sicuramente felici i DJ delle radio ed i creativi pubblicitari degli anni a venire, possiede infatti un tiro ed un refrain molto, molto accattivanti.
My Mistery tirata, aggressiva, sempre su di un buon livello, Black And Blue beh, è proprio come l'Inter ti attira con un bel ritornello ma poi quel sax, sul più bello, che c'entra? Arriva Bitter and Twisted, riff di chitarra tipo la spada nel cuore di Little Tony (??), roccaccio troppo hard e simile a John Bon Jovi, è forse il brano meno riuscito del disco, segue Losin Tonight ballatona alla Journey, si ascolta volentieri ed infine arriva Babylon altro brano piuttosto hard alla Blackfoot, per capirci, mi fa scoprire che certe sonorità tirano fuori il rocckettaro che c'è in me e che avevo sepolto da un ventennio! Poi ritorno alla realtà e mentre scuoto la testa e batto il piedino concludo con una frase di scolastica memoria: il ragazzo può fare di più, con quella voce e questa band lo attendiamo alla prossima prova per restituirgli la mezza stella che ci siamo tenuti in tasca.